Piano Paesaggistico “Città di Catania”, manca il quadro d’insieme: far dialogare i singoli beni

All’improvviso, come se fosse venuto dal nulla, appare la sagoma del Piano paesaggistico della Città Metropolitana di Catania. Appare e subito diventa l’argomento del momento. Ci si affanna persino a organizzare incontri in emergenza, pur di non restare indietro. Piano Paesaggistico, questo è il problema.

Serve un po’ di chiarezza. Intanto, questo strumento ha avuto una lunga e travagliata gestazione. Raccoglie documenti, analisi e riflessioni di molti enti e istituzioni di ricerca. Dall’università alla Forestale, dallo studio delle cartografie geologiche ufficiali alle documentazioni delle Soprintendenze. Questi stessi documenti e dati sono stati raccolti in molti anni e qualche dato è persino ormai obsoleto e in qualche caso incompleto. Un lavoro complesso da coordinare e per questo è stato necessario un fitto confronto tra chi aveva la responsabilità di coordinare il piano e i suoi contenuti con gli enti locali che avevano il compito di revisionare, verificare e implementare; in particolare dal marzo del 2016 all’agosto del 2018.

Prima dell’approvazione da parte dell’Assemblea regionale Siciliana, avvenuta nel settembre del 2018, e della pubblicazione negli albi pretori dei comuni interessati (il 31 ottobre per Paternò e 6 novembre per il sito della Regione Sicilia), nessuno per strada ne sapeva nulla – del piano paesaggistico – e neppure “altrove”, visto gli atti e le relazioni epistolari tra gli enti interessati. Eppure, dalla data di affissione, la comunità aveva novanta giorni per osservarlo, condividerlo e dibatterlo. La comunità di Paternò, scopre solo dopo sessanta giorni, dalla sua pubblicazione, dell’esistenza di questo strumento importante per tutto il territorio, non tanto per i contenuti vincolistici ma per l’opportunità di definire un nuovo modello di sviluppo economico, compatibile con le risorse culturali, naturali, monumentali e archeologiche che caratterizzano questa parte della Sicilia.

Detto questo, credo che si debba andare avanti, anche se sul concetto di “partecipazione” bisognerebbe approfondire visto che questa appare sempre più virtuale che reale. Sperando che qualcuno non tiri fuori dal cilindro, proprio adesso, visto che i disallineamenti tra stato di fatto e di piano sono imbarazzanti. (ancora la Soprintendenza aspetta notizie…).

Oggi dobbiamo correre contro il tempo. A fine gennaio (tra meno di 10 giorni) scadono i tempi della pubblicazione e dopo, e per trenta giorni, si possono depositare le osservazioni e le opposizioni – alla Regione Sicilia e alla Soprintendenza di Catania.
Serve l’aiuto di tutti, serve responsabilità. Non si tratta di mettere o rimuovere vincoli ma di individuare “i paesaggi” che strutturano questo territorio. Riconoscerli come collettività (Convenzione Europea del Paesaggio di Firenze del 2000) e mettere in campo risorse culturali, politiche e finanziarie per avviare un processo di rigenerazione complessivo.

Non possiamo non sapere il valore di alcune emergenze paesaggistiche: le aree archeologiche sotto l’acropoli; il tracciato della via Francigena; la presenza di beni isolati come alcuni monasteri; i terrazzamenti agricoli con i muretti a secco (ormai patrimonio dell’umanità). Quello che manca è il quadro d’insieme, forse il progetto o la regia. I singoli beni – naturalistici, archeologici, monumentali – sono una rete di opportunità che devono dialogare. Devono diventare opportunità e per questo i livelli di tutela devono essere coerenti ai valori espressi. Il principio nuovo è decostruire, rammendare e rendere sempre più permeabili i suoli, non collocando aree boschive qua e là come al “Risiko” ma predisponendo un piano di riforestazione pubblica e privata.

Ma per fare questo bisogna anche condurre una lotta alla disinformazione collettiva dentro la quale si insinuano falsi luoghi comuni, paure ancestrali immotivate (spesso nei confronti della Soprintendenza) e furberie da circo. Combattere le logge, dei ladri di memoria, per illuminare la terra. La trasparenza non deve essere un obbligo di legge ma un metodo di lavoro per svelare nuovi paesaggi.

Definire un nuovo modello di sviluppo economico, predisporre scelte politiche e imprenditoriali è la sfida per i prossimi dieci anni in questo territorio che perde sempre più la sua identità e posti di lavoro. Svelare il suo patrimonio archeologico, significa combattere il malaffare e sviluppare economia per i nostri figli. Turismo, cultura, artigianato e agricoltura possono respirare solo con la creazioni di nuove condizioni di tutela, di progetto e di consapevolezza.
Perché non basta documentare ma è necessario pianificare il futuro con il cuore e la ragione. Evitando i “mangiafuoco” della domenica. Forse questa è l’occasione per riprendere il tema del piano regolatore generale – che deve essere rivisto anche alla luce delle indicazioni del piano paesaggistico – e riscoprire il significato concreto dell’Enciclica di Papa Francesco, Laudato Sii. Perché siamo comunque chiamati a “coltivare e custodire la terra”

Nei saloni del centro parrocchiale dello Spirito Santo, se ne parlerà lunedì 14 gennaio alle 18.00 con Maurizio Erbicella e Luigi Longhitano; organizzato dalla sezione Iblamajor-Paternò dell’Archeoclub d’Italia.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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