Memorie, oltre la Shoah: i giovani devono sapere

 

E’ la giornata in cui si ricorda una delle pagine più buie dell’umanità. Ricordare – per l’uomo – è un dovere e nello stesso tempo una necessità. “Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono destinati a riviverlo” (Primo Levi).
Settantaquattro anni fa, alle quindici del pomeriggio, si aprirono le porte dell’inferno. E il mondo conobbe il Campo di concentramento di Auschwitz. Il teatro macabro della banalità del male. Non fu un dramma solo per gli Ebrei, ma dell’intera umanità. Non fu l’ultimo (purtroppo) e nemmeno il primo. Questo è il punto. L’Europa scoprì il suo lato oscuro, il serpeggiare dell’intolleranza, la complicità nell’esercizio del male.

Tzvetan Todorov, in una prefazione a I sommersi e i salvati di Primo Levi, sottolinea. “Perché questa pagina oscura del nostro passato deve essere ricordata? Perché le passioni e i comportamenti umani non cambiano mai radicalmente e dunque, anche se le istituzioni e le tecnologie si trasformano, la storia si ripete. Ora l’idea che momenti così desolanti possano ripetersi è per Levi insopportabile. […]
Levi pensa (e ha evidentemente ragione) non tanto a una ripetizione dell’identico, nell’avvento cioè di un regime nazista nel centro Europa, quanto piuttosto a una proliferazione di quei fattori che hanno reso l’orrore possibile – magari in altri paesi, sotto altro nome, con nuove giustificazioni, non raggiungendo lo stesso parossismo ma producendo, quantomeno, massacri e sofferenze senza fine. Contro questo propagarsi del male, pensa l’autore, il richiamo del passato può essere salutare: non bisogna stancarsi mai di ricordare l’orrore antico”. (sintesi di Luigi Gavazzi).

I ragazzi devono sapere. Le nuove generazioni devono conoscere. Non solo questa memoria, ma le innumerevoli memorie drammatiche che ci rendono “bestie”. E come le bestie – che non hanno storia e memoria – sbraniamo le carni e la dignità dei nostri (fratelli) in tanti modi. Oggi forse più raffinati e sofisticati. Lo facciamo altrove (lontani dalla nostra amata Europa), lo facciamo in nome di tanti dei: il denaro, il potere, lo sviluppo, la pace, la patria.

I ragazzi devono sapere, che anche l’imperatore Adriano (quello che studiamo nei libri di storia), non fu meno spietato con gli Ebrei. Che i Curdi vivono lo stesso dramma, che nell’ex Jugoslavia ci fu un genocidio terribile. Che nell’Africa (quella che usiamo per il nostro sviluppo) avviene di tutto e di nascosto. Che le dittature comuniste e fasciste, dell’Europa o dell’America Latina, hanno cancellato intere generazioni, umiliato la dignità del popolo, massacrata e poi nascosta la gente che si opponeva a tali regimi e per questo motivo, metto dentro anche le Foibe di Tito.

I documenti storici ci raccontano di intolleranze al popolo Ebreo in tutta Europa, da molti secoli. In tutta Europa, da molti secoli. Non solo nel 1945. Serve riflettere anche su questo. E non solo in Germania, ma anche sotto casa nostra. I ragazzi devono sapere, devono conoscere questa pagina buia perché nulla avvenga di nuovo.

In questi giorni, ho sentito alcuni studenti che criticano il valore della storia (come studio) sacrificandola sull’altare della modernità. E’ forse vero, se ci soffermiamo sull’elenco dei re e dei principi, delle battaglie e delle sconfitte, privando i ragazzi della conoscenza degli ultimi cinquant’anni della storia dell’uomo. Ma questi ragazzi non hanno conosciuto la guerra, la fame, le privazioni e lo squallore degli anni ’40. Non hanno colpe, ma serve coltivare il seme della memoria per capire, serve rimodulare il significato didattico di storia e i suoi contenuti principali per rendere gli studenti consapevoli nelle scelte della loro vita.

In questi giorni, le notizie sullo sfruttamento dell’Africa, sulle tragedie dei mari, sul dramma di quel fiume di carne umana che rimane stordito e umiliato sulle coste delle nostra Europa (tutta) ci lascia basiti. Normative, ordinanze, accordi, protocolli per dichiarare l’Europa: assente, indifferente e colpevole. Dalla Siria, dall’Africa, dalle Americhe, dall’Est, dall’Oriente Indiano. Oppressi da neo-colonialismi, da dittature funzionali ai grandi poteri internazionali, dall’arretratezza culturale e dalla fame (spesso indotta), ci troviamo a fronteggiare un esodo biblico.

Virgilio, ci fornisce una traccia per comprendere il passato e curvare meglio il futuro.
Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori del bene e del male. Virgilio, Eneide I 538-543

Il senso dell’Umanità non ha un colore politico preciso. Si chiama Umanità. Non possiamo ricordare la Shoah (storia) e dimenticare (nascondere) il dramma di quei popoli che soffrono oggi, sotto i nostri occhi. Non sarebbe servito a nulla ricordare. E’ vero, bisogna fare qualcosa per ridare dignità a questi popoli, nelle loro Terre e intervenire nell’immediata emergenza nella nostra Terra. In fin dei conti, siamo abitanti dello stesso pianeta e per cultura ospitali.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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