Blackout dei social, ‘Mamma ho perso la connessione’: la paura di sprofondare nel silenzio dell’universo

Il panico, lo sconforto, la paura; solo quattordici ore di blackout per i webnauti di tutto il mondo, isolati da Facebook, Instagram e WhatsApp e tutti sembravamo persi. Accadeva qualche giorno fa, in un tranquillo pomeriggio di marzo. In mezzo alla settimana, senza preavviso. Forse qualcuno non si è accorto di nulla, ma quell’homo sapiens web che siamo diventati ha vissuto momenti di vera angoscia.
Rimane sconosciuto il motivo, almeno alla gran parte di noi. Qualcuno conosce le cause ma sono pochissimi e governano le nostre comunicazioni. Sarà l’America o la Cina? Dietro la preoccupazione per la firma sulla “Via della seta” c’è anche questo tema: il controllo dei dati e della comunicazione. Si, perché oggi il potere si esercita attraverso il controllo dei dati sensibili e la possibilità di comunicarli a qualsiasi parte della popolazione mondiale.
Il 12 marzo del 1989, Tim Berners-Lee, di fatto cambiava il corso della storia, presentando al Cern di Ginevra il suo WWW, dando vita alla più importante rivoluzione dell’umanità. Dopo la scrittura (IV millennio a.C. in Mesopotamia) e la stampa (XV sec. in Europa), l’uomo si trova a vivere (nel XX sec.) una nuova rivoluzione: dopo quella industriale nasce quella digitale. Ormai siamo tutti nella rete (del ragno). Il filo conduttore di questa (ri)voluzione è il diverso modo di comunicare tra gli uomini e le modalità di conservazione del sapere. (E se fosse stato un modo per festeggiare la ricorrenza del 12 marzo?)

Ma torniamo al panico che si è scatenato qualche giorno fa, un blackout che ha fatto tremare tutti. Per poche ore, non si sono potute più condividere i contenuti sui social più usati. Improvvisamente i nostri comportamenti sono diventati isterici, impazienti, frenetici, paranoici. Qualcuno ha pensato di aver subito ingiustamente un blocco, di avere problemi sulla linea dati internet, di essere alle prese con un guasto del proprio dispositivo (pc, smartphone, tablet, ecc.). La mente è andata ad un attacco della Cina o alla ritorsione dell’America; qualcuno ha pensato che fosse stato il sindaco e i suoi fedelissimi; qualcuno ha pensato all’opposizione. Qualcuno non ha pensato a nulla. Ha solo aspettato che si ristabilisse la normalità. Tutti hanno ipotizzato un problema personale. A poco a poco, ci si è resi conto che la questione era mondiale. Ma ciò è avvenuto dopo, quando tutto si è sbloccato. Ma chi ha sbloccato e da dove? Rimarrà questo dubbio per molto tempo.

Mi incuriosisce il fatto che molti hanno individualizzato il fenomeno. Il blocco è personale, è per me. Chissà chi mi ha segnalato a Facebook e come mai? Qui comincia una profonda analisi della coscienza, per scoprire le ragioni di questo ipotetico blocco sui social. Avrò scritto qualcosa di indecente? Ho offeso qualcuno? Quella foto è provocatoria? Passa nella mente il ricordo delle azioni digitali, compiute nelle ultime ventiquattro ore. Si sfoglia l’album dei possibili nemici e sabotatori della nostra libertà di espressione (o con lo stalker di turno). Si ipotizza persino un problema di furto dell’identità digitale e della password. Ancora non ci si confronta con il nostro vicino. Ci si sente come sporchi e in colpa. Mi hanno bloccato il profilo. Perché? Quasi un senso di frustrazione che teniamo nascosto per non fare una brutta figura con gli amici (web). E’ proprio adesso che ci sentiamo più soli, più isolati, indifesi. Qualcuno chiama la Polizia oppure i Carabinieri per sapere cosa succede e chiedere di fare qualcosa. Viene da ridere, qualcuno crede che i social siano un servizio pubblico che offre il governo nazionale per gestire le emergenze e le bollette.

Ci siamo abituati così tanto, che non riusciamo a pensare a un mondo senza i social. Come se dovessimo pensare un mondo senza energia elettrica, senza telefono, senza frigo, senza macchina, senza l’aereo. Improvvisamente cambierebbero le nostre prospettive di vita, la velocità con cui realizziamo le cose, la quantità di beni accumulati; ma soprattutto il modo di relazionarci con gli altri, i nostri simili, gli uomini e le donne. Per corteggiare qualcuno non possiamo mandare più un messaggio con Instagram, dobbiamo incontrarlo: in parrocchia, per strada, al bar – ed esporci in prima persona, dichiararci, persino rischiando di diventare rossi per l’imbarazzo. Saremo costretti a comprare una rosa, un libro e metterci il vestito buono. Che paura, quel blackout! Per un attimo abbiamo pensato tutti, di esserci persi nel silenzio dell’universo e restare solo con noi stessi. Che paura, la solitudine. Il vuoto che scaturisce dalla scomparsa del nostro paesaggio digitale. Immaginare di tornare nelle piazze a cercare qualcuno, di leggere un libro di carta, di guardarsi negli occhi. E che fine avrebbero fatto, i leoni della tastiera e i tuttologi del web? Non ci voglio pensare. (Ma credetemi, sto ridendo sotto i baffi, non dovrei, ma fa troppo ridere questa cosa)

Guardiamo un diverso punto di vista. E se fosse stato un complotto per sabotare Greta Thunberg – la giovane attivista svedese – per impedirle di promuovere lo sciopero di tutte le scuole nel mondo, per sensibilizzare i potenti (adulti) della terra, verso i temi dell’ambiente e della sostenibilità? Certo potrebbe essere, perché dopo la dimensione individualistica e di colpevolizzazione personale si passa al possibile complotto. Succede sempre così. Certo è che oltre a fare le prove di evacuazione, simulando gli effetti di un evento sismico, bisognerebbe fare – nelle scuole e negli edifici pubblici in genere – le prove di disconnessione improvvisa, per gestire gli effetti della mancanza di energia elettrica e di connessione web. E’ un’idea.
Siamo sempre più digitali e sempre meno analogici. Quasi una nuova specie umana, che non può rinunciare alle iper-connessioni, a patto di non restare schiacciati e imprigionati. Alan Turing – padre dell’informatica, appassionato di mele – ispirò Steve Jobs nella scelta del simbolo della Apple. Ma la mela è il frutto che Eva porse ad Adamo per introdurlo nel mondo dell’infinita conoscenza e Adamo la morse, forse per questo la Apple ha come simbolo la mela con un morso. Perché l’uomo ha scelto di conoscere e di navigare.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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