Il neomelodico urbano, la città come teatro: la finzione reale di un video

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Un pugno nello stomaco e l’indignazione di molti. Comunicati e prese di posizione per condannare il video musicale – neomelodico – “Guaione e quartieri” di Leonardo Zappalà, che ottiene migliaia di visualizzazioni su YouTube in pochissimo tempo. C’è una parte di società civile che si vergogna, dentro una città spenta e – piano piano – il sussurro diventa grido di tanti, determinato e senza mezzi termini. Politici, intellettuali, artigiani, pensionati e giovani studenti sono tutti d’accordo: il video di Leonardo Zappalà è vergognoso, racconta una storia inaccettabile che non ci rappresenta. Non rappresenta questa comunità, questo territorio, la nostra storia. Ma è proprio così?

Non si può negare che, comunque, il video ottiene moltissime visualizzazioni, che tanti (silenziosamente) hanno comunque apprezzato e che il genere “neomelodico” è seguito – a livello internazionale – da tanti fan. Non si può negare che questo genere musicale è la fotografia di una parte della nostra società e che al contrario della musica napoletana che promuove la bellezza della città partenopea. La musica dei neomelodici, invece, parla di temi come: il carcere, il tradimento, la droga, la prostituzione, la malavita, la disoccupazione e il degrado urbano. Da Mario Merola, passando per Nino D’Angelo fino a Gigi D’Alessio è un atlante di artisti che hanno dedicato la loro vita a questo genere e ne sono diventati i maggiori protagonisti. Una cosa è essere una star musicale – artista spesso irraggiungibile dai suoi fan – e una cosa è essere un cantante neomelodico, sempre in contatto con il proprio seguito al punto da inserire il proprio numero di telefono in evidenza sui video pubblicati su You Tube. Il cantante neomelodico è vivo tra la gente, in mezzo a loro e alle loro disperazioni. Ma la cosa più importante è che egli è la voce di una società disperata, abbandonata, spesso emarginata. Vive nelle periferie più degradate della città a diretto contatto con quella malavita che potrebbe sembrare l’unica presenza in un territorio di confine, questa rappresentatività è inquietante.

Certo è che il video di Leonardo Zappalà contiene una tale quantità di attributi iconografici, presi a prestito dalla malavita, che non può non colpire per la sua pericolosa implicazione educativa ed emulativa. La narrazione cinematografica – che caratterizza il video neomelodico – prende a prestito dal repertorio di Saviano e dalle fiction televisive (il Capo dei capi, ecc.) un repertorio impressionante: il taglio di capelli, le pistole, la droga, gli occhiali, le liturgie mafiose, e tanto altro. Il racconto descrive con impressionante realismo i momenti salienti dell’affiliazione alla mafia. Il capo, il conflitto, la parlata e la pace con i simboli del sangue e dei santini. Dentro il tempo cinematografico, si collocano tutti gli elementi per individuare un preciso ambito sociale e organizzativo, mettendo l’accento all’età dei protagonisti. Ragazzi in età scolare. Anche i luoghi della “finzione” sono importanti: un edificio pubblico abbandonato dalle stesse istituzioni, il retro di una scuola e in mezzo, un giardino-labirinto come teatro della rappresentazione.
Ma quali sono i significati più evidenti? Quali le implicazioni? Il video contiene messaggi forti. Potremmo definirli immorali. Perché presentano una specie di vademecum del piccolo malavitoso. Una specie di manuale per affiliarsi alla mafia. Prima di tutto l’età dei protagonisti: giovani quasi adolescenti che non hanno bisogno di stare dentro la “scuola”, che rimane ad oggi l’ultimo presidio istituzionale contro le mafie. Ultimo, perché le istituzioni sono rappresentate da un edificio abbandonato, vandalizzato, reso un rudere. In questo caso l’architettura è simbolo di una società. Un edifico, un parco, un paesaggio di qualità possono educare alla bellezza e alla legalità più di un bel discorso e abbandonare il territorio o riservare per lui “lo scarto” architettonico (in termini di qualità formale, figurale e funzionale) equivale a diventare complici del degrado socio-economico delle città.

Le liturgie proposte dai protagonisti sono per certi versi rassicuranti. Nessuno si fa male, ci sono le pistole, una guerra che si conclude con una pace. Dietro tutto c’è la droga e il controllo del territorio. Il messaggio è: non aver paura, nessuno si fa male con noi, alla fine facciamo la pace. Rassicurante. Lo scontro avviene dentro un giardino, quasi un labirinto, che alla fine si risolve nell’incontro tra le bande. E’ evidente la gerarchizzazione del gruppo: il capo, il luogotenente, i novizi. E poi il sacro, quella pantomima quasi una liturgia teatrale che vede coesistere il sangue degli uomini con le figurine dei santi, a suggellare un patto di uomini agli occhi di “dio”. Ci sarebbe tanto da riflettere sui molti silenzi che hanno seppellito quest’evento.

Il rischio temuto è quello dell’emulazione, della possibilità che passi un messaggio rassicurante e conciliante. La finzione cinematografica a cui siamo abituati ci propone due riflessioni. La prima è che nei film la storia ci sembra inventata, distante dalla nostra realtà più prossima e i protagonisti sono attori che fingono. La seconda è che non c’è nulla di rassicurante, al contrario c’è orrore, paura, morte e questo influenza la nostra percezione. Ci costringe a prendere una posizione precisa: con la vita o con la morte.

Il video neomelodico di Leonardo Zappalà è una finzione reale. Le pistole sono finte e la cocaina è polvere di gesso ma risulta maledettamente più realistica. Gli attori sono i nostri vicini di casa, i nostri parenti persino i nostri amici. Paradossalmente è più reale della fiction televisiva su Rosy Abbate e più pericolosa, perché è rassicurante.

Sentiti alcuni ragazzi, intervistati sulla loro percezione in relazione al video, colpisce una voce su sei. «Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Mah, mi sembra bello, alla fine fanno tutti pace». Ecco, il punto è questo, fanno tutti pace, non muore il cattivo, non esiste un eroe delle istituzioni, nessuno viene arrestato e punito.

Rimane devastante in questa vicenda – per tutti noi – la replica dell’autore: «Perché vi scandalizzate per la mia musica, che parla di una città reale? Pensate a recuperare gli edifici abbandonati, a riparare le strade, a mettere fontane e alberi; pensate a fare qualcosa di concreto, invece di dire sempre bla bla bla». E noi che rispondiamo?

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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