Il clima cambia: siamo disposti a cambiare noi? Le scelte ecologiche coerenti da fare

Clima, risorse e comunicazione. Il dibattito sui cambiamenti climatici è uno dei temi più discussi in questi ultimi anni. Scienziati, politici, associazioni e teologi si confrontano sulle cause, sulle possibili implicazioni e sulle strategie per mitigarli. In questi giorni si è celebrato il Global Strike for Climate nel giorno del Fridays For Future. In tutto il mondo gli studenti sono scesi in piazza per manifestare contro l’indifferenza dei potenti della Terra, nei confronti di un tema che esigerebbe più attenzione e impegno da parte dei governi.
Il clima da milioni di anni cambia ciclicamente: dalle glaciazioni alle desertificazioni e viceversa. Ha determinato la modifica della morfologia della terra, lo spostamento delle popolazioni, persino la nascita e la morte di città e vasti territori. Ancora oggi è possibile trovare sui fondali del mare antiche città o scoprire che dove oggi c’è la terra ferma un tempo c’era il mare.
Il punto è che le risorse naturali, utili per sostenere il nostro modello di sviluppo, stanno per finire. Per sostenere la domanda di energia – sempre crescente – siamo costretti a consumare ogni residua risorsa. Siamo ad un punto di rottura. In pratica abbiamo rotto l’equilibrio naturale tra consumo e produzione, compromettendo il futuro del nostro pianeta. Dobbiamo prendere atto che le risorse stanno “finendo” con questo modello consumistico. Torniamo indietro nel tempo? Rinunciamo a tutto? Frigorifero, condizionatore, macchina, ecc.?

Questi temi, oggetto di riflessione ormai da molto tempo, sono diventati i territori dialettici di molti esperti e forse di tante mode. Presi a prestito da partiti, movimenti, lobby e dalle industrie della comunicazione e della produzione. Qualche tempo fa, Papa Francesco ha pubblicato una riflessione teologica, l’Enciclica “ Laudato si’ ”, che proponeva un nuovo paradigma sull’ambiente, che allargava il concetto di ecologia e metteva in guardia dagli ecologismi. In pratica evidenziava la necessità di fare, di agire con coerenza, a partire dal proprio intorno, nei luoghi che viviamo quotidianamente, anche nelle piccole cose. Ci esortava a “cambiare”, a modificare le nostre abitudini, a ripensare al modello di vita e di sviluppo, auspicando non tanto una “decrescita” ma una diversa curvatura ecologica, a partire dall’ecologia umana. Ecologia significa equilibrio, misura, ordine, congruenza, significa rispetto per la terra e per l’uomo.

Cambiamento e consapevolezza. Significa pensare all’intera filiera ecologica. A cosa serve marciare per l’ambiente se poi compriamo prodotti alimentare confezionati con la plastica? A cosa serve manifestare se poi consumiamo prodotti che hanno un’impronta dell’acqua molto alta? (consumo di acqua complessivo per produrre un bene). A cosa serve urlare contro i potenti se poi affoghiamo la nostra fame con merendine, carne, e cibo spazzatura invece di sostenere le produzioni locali? Questo non significa che non dobbiamo manifestare, che non dobbiamo prendere in considerazione le innumerevoli variabili del sistema e nemmeno che dobbiamo sottovalutare un testo teologico solo perché è scritto da un Papa. Tanto meno illuderci che tutto può avvenire in un attimo, alla fine della serata, dopo una manifestazione con gli amici. Ci vuole impegno, pazienza e determinazione. Ci vuole ricerca, sperimentazione e innovazione. Non è per niente facile, ma bisogna pur iniziare e ogni possibile rinvio è pura follia.

PRODUZIONE-TERRITORIO. Le filiere corte: per la produzione agricola; per il riciclo; per l’architettura; sono fondamentali. Spesso sono infarcite di approccio retorici e demagogici. Spesso sono un paravento per riciclare le proprie idee o nascondere altri interessi. Il pericolo è questo. Allora può succedere di guidare una protesta contro i cambiamenti climatici e nello stesso tempo costruire atti amministrativi utili per incentivare l’uso del suolo. Un controsenso, una truffa (se lo sapessero quei giovani che hanno manifestato resterebbero senza parole!).
Il territorio è una delle risorse da tutelare, i cambiamenti climatici dipendono (si accelerano) proprio per la mancanza di permeabilità, a tutto vantaggio della impermeabilità, insieme al fatto che non piantiamo più alberi, anzi li tagliamo o li avveleniamo oppure li bruciamo. Lo dicono ormai tutti nel mondo e non possiamo fare finta di non capire. Ma non possiamo dimenticare che gli incendi – fatti in Brasile, Indonesia e Africa – sono opera di contadini che vogliono allevare e coltivare: carne per il nostro consumo e palme per le nostre merendine. Magari sotto la guida delle multinazionali che gestiscono i settori alimentari, farmaceutici e della chimica agricola. Ma il lavoro sporco lo fanno fare ai contadini del posto. Tutto per rispondere alla domanda crescente, quella nostra.

ECOLOGIA-COERENZA. Se vogliamo essere ecologici dobbiamo cambiare il nostro stile di vita. Dobbiamo ricercare l’equilibrio globale e di sistema, anche senza rinunciare al progresso. Se vogliamo farlo, dobbiamo ricorrere alla produzione di energie rinnovabili, senza se e senza ma. Evitando pregiudizi e sofismi vari. Eolico, fotovoltaico, tanto per dirne due. Ridurre i consumi, puntando sul riuso. Siamo disposti? Dobbiamo puntare sulla mobilità pubblica, sul recupero del patrimonio esistente, sulle tecnologie a basso impatto, sulla razionalizzazione dei consumi: personali, urbani, industriali ecc. Dobbiamo formare una nuova classe dirigente, più impegnata nella ricerca di soluzione che a farsi fotografare con i manifestanti in piazza. Dobbiamo praticare nuovi modelli e politiche ecologiche coerenti.

Bisogna partire da subito, guardando chi ha già fatto passi in tal senso. Studiare le buone pratiche e applicarle nei propri territori. Senza dimenticare che è necessario educare la collettività e per questo ci vuole pazienza e competenza. Siamo disposti a cambiare? A fare scelte – coerenti tra loro – per invertire la filiera produttiva in chiave ecologica?

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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