Patrimoni culturali, infrastrutturare il sistema turistico per progettare il futuro

Questo Paese, l’Italia, ha certamente la più ampia concentrazione di beni culturali e ambientali del mondo. Siamo riconosciuti, ovunque, per le ricchezze che la storia ci ha lasciato; per i monumenti, le città d’arte, le collezioni museali, i paesaggi naturali e antropici, per i piccoli centri minori che conservano piccoli tesori. In ogni parte di questo Paese – da nord a sud – c’è un giacimento culturale da scoprire, da valorizzare, da conoscere. Siamo stati protagonisti di civiltà, in ogni epoca storica e sono indelebili le tracce lasciate dai Greci, dai Romani, dagli Arabi, dai Normanni; perché questo Paese si è lasciato attraversare, contaminare culturalmente e ha trasformato le sue diversità culturali in vere e proprie ricchezze. Il mare, le montagne, i laghi, i fiumi. Le città, i borghi, le campagne. L’arte, la storia, le tradizioni e l’enogastronomia. Un atlante infinito di opportunità che riusciamo a cogliere solo quando torniamo da un viaggio all’estero, quando restiamo basiti dall’entusiasmo dei turisti stranieri che visitano questa terra baciata dagli dei.
Forse dovremmo essere più consapevoli di tutto ciò e cogliere anche nei nostri piccoli centri, lontani dai grandi flussi del turismo di massa, l’opportunità che ci offre una chiesa, un castello, una valle, un centro storico o uno scavo archeologico. Ma per fare tutto questo è necessario infrastrutturare, promuovere e formare i territori.

L’accessibilità e l’accoglienza, sono le prime mosse che bisogna attuare per costruire le basi di un modello di sviluppo turistico di una comunità. Sembra banale ma non lo è. Rendere accessibile un territorio attraverso vettori pubblici (metro, bus, tram, taxi) connessi con le grandi direttrici nazionali e regionali. Renderlo accessibile a qualunque ora del giorno e a tutti. Oltre a rigenerare le sue parti: piazze, strade, architetture, parchi, campagne. L’accoglienza è offrire servizi: facili, utili, strategici per tutte le tasche. Significa offrire posti letto (funzionali a moduli turistici di 25-50 utenti), opportunità enogastronomiche di qualità, significa presentare un cartellone di attività culturali e museali di alta qualità programmate per tempo, fruibili nell’arco di un anno e consultabili in rete, sui social, nei principali siti istituzionali, attraverso la creazione di portali ad hoc. Questo significa infrastrutturare il sistema turistico. E’ una pre-condizione.

La promozione non può prescindere dalla consapevolezza. Promuovere, presuppone conoscere il proprio territorio e riconoscere ad esso un valore: artistico, naturalistico, storico, culturale ecc. Si tratta di un processo complesso – quello della consapevolezza – che riguarda la collettività, non solo gli studiosi, i cultori e gli appassionati. Promuovere significa sapere, conoscere a partire dall’infinita relazione tra storia e territorio, tra le parti di esso. Significa aver capito le ragioni della forma della città, della campagna e delle sue emergenze simboliche in relazione a quella pregnanza culturale che ci identifica in quel luogo e in quel tempo. Siamo i luoghi che abitiamo e portiamo nel nostro Dna la storia – stratificata – di quelle terre. Promuovere significa anche, essere consapevoli degli strumenti utili alla comunicazione, dei dispositivi che offre la tecnologia, l’informatica, la domotica e i media. La visione globale per una ricchezza locale. E non sono cose che si improvvisano.

Nulla si può improvvisare. Per avviare un processo virtuoso e sostenibile, a partire dalla valorizzazione delle aree periferiche – rispetto alle grandi città d’arte – non si può prescindere dalla formazione. Studiosi e specialisti hanno stratificato un immenso patrimonio di saperi locali: ricerche, studi, scoperte che si sono susseguite negli anni, possono diventare i contenuti di base per una formazione specialistica agli operatori del turismo. Una formazione ad hoc, che non solo svela nuove ricchezze, ma apre a nuovi scenari, nell’organizzazione di pacchetti e di offerte turistiche, oltre quelle ormai consolidate. Un’opportunità per decentrare e destagionalizzare l’offerta turistica. Formare significa progettare un piano didattico, una strategia per valorizzare le conoscenze e le scuole locali, che sono impegnate ormai da tempo nel coltivare la consapevolezza del proprio territorio. Formazione significa anche valorizzare quell’associazionismo culturale che ha scavato nella profondità della storia per tracciare il profilo e l’identità di una comunità.

Serve definire un nuovo modello turistico per i piccoli centri. Una strategia di rete, che esalti la territorialità. Che riporti nelle piccole strutture museali (e se non ci fossero andrebbero realizzate) il patrimonio di reperti e testimonianze che appartengono alle comunità. Serve un progetto unitario, organico e di sistema. Serve la determinazione delle comunità, della politica, degli studiosi, delle istituzioni. Un piccolo oggetto di terracotta, del V secolo a.C., trovato chissà come, non è nulla in confronto alla Venere di Milo per un archeologo, ma è tutto per uno studente, per un sindaco, per una preside, per uno studioso, per un parroco, per un cittadino, per un bambino. Non possiamo parlare di modelli di sviluppo se non riportiamo nei territori il patrimonio accumulato nei depositi di musei e soprintendenze, chiuso nelle casse di legno, dimenticato da tutti.
Bisogna crederci, senza quel disfattismo e quell’apatia che sembra ammalare tanti, sia tra i politici che gli specialisti dei beni culturali. Bisogna credere nel rilancio della cultura e del suo valore civico. Bisogna uscire dal paradigma del turismo inteso solo come “industriale” alla grande scala e per le grandi città e coltivare la sua dimensione “artigianale”, periferica, senza rinunciare alla qualità e all’innovazione. Mobilità, promozione e formazione. Significa progettare il futuro, a partire dalla nostra storia. Il bene più prezioso di cui disponiamo. I nostri monumenti, le nostre usanze, i nostri paesaggi. Prima che sia troppo tardi e la superficialità ci travolga.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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