Save the Children, in Sicilia minori iperconnessi ma 1 su 2 non legge libri: dati “Atlante dell’infanzia”

In un paese in cui si è disinvestito sulle politiche sociali e sull’infanzia, la povertà educativa è una piaga in crescita. Basti prendere in considerazione alcuni indicatori: quasi un minore su 2 non legge un libro oltre a quelli scolastici durante l’anno, con profondi divari regionali, che vedono Campania (il 64,1%), Calabria (65,9%) e Sicilia agli ultimi posti (68,7%). E se nel 2008 i “non lettori” erano il 44,7%, questa percentuale è salita dopo dieci anni al 47,3%. Questi alcuni tra i dati messi in luce dal X Atlante dell’infanzia a rischio di Save the Children. Nel suo complesso la deprivazione culturale nei minori, pur leggermente attenuata, resta un tema di allarme: nel corso dell’ultimo decennio la quota dei “disconnessi culturali” e’ diminuita di 4 punti, ma i minori che non svolgono sufficienti attivita’ culturali restano ancora 7 su 10, con i consueti divari tra le regioni.
Anche lo sport resta per molti un privilegio: in Italia circa un minore su 5 (tra i 6 e i 17 anni) non pratica sport e il 15% svolge solo qualche attivita’ fisica. Alcuni passi in avanti si sono visti su questo fronte negli ultimi dieci anni:
se nel 2008 il 21,8% dei minori era “sedentario”, nel 2018 questo dato scende a 17,9%. Come al solito ampi i divari tra le regioni, ma con il Centro e il Sud che migliorano la loro condizione nel decennio. “Nel corso degli ultimi anni si e’ registrato – positivamente – l’ingresso del tema della “poverta’ educativa” nell’agenda della politica, con il varo di un Fondo nazionale di contrasto alla poverta’ educativa minorile, istituito con la legge di stabilita’ per il 2016, alimentato dalle Fondazioni di origine bancaria”, sottolinea Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children. “A questo si aggiunge l’incarico, affidato dal Parlamento all’Istat, di definire i parametri per individuare le aree a piu’ alta poverta’ educativa del Paese, sulle quali concentrare gli investimenti. Si tratta di passi avanti importanti ma perche’ possano produrre effettivamente un cambiamento su larga scala e’ indispensabile che la lotta alla poverta’ educativa divenga un obiettivo condiviso dai diversi dicasteri – dall’istruzione alle politiche sociali, dalla cultura alle pari opportunita’ – e da tutti i livelli di governo”.
POCHI STIMOLI CULTURALI MA SEMPRE IPERCONNESSI
Bambini e ragazzi che leggono sempre meno, fanno poco sport e che non sono sottoposti a stimoli culturali, sono invece iperconnessi: nell’ultimo decennio si e’ assistito a una rivoluzione che ha portato all’aumento esponenziale dei minori che usano ogni giorno la Rete. Nel 2008 il 23,3% dei minori non usava quotidianamente Internet, quota che e’ scesa nel 2018 a solo il 5,3%, con una riduzione del digital divide tra Nord e Sud del paese. Cattive notizie anche sul fronte scuola: la spending review, sostiene Save the Children, ha colpito pesantemente tutto il sistema dell’istruzione, contribuendo ad alimentare dispersione, fallimento scolastico e nuove poverta’ di futuro tra i piu’ giovani. La spesa per l’istruzione e’ crollata dal 4,6% del PIL del 2009 al 4,1% del 2011 fino al minimo storico del 3,6% del 2016 (ultimo dato OCSE disponibile). Nello stesso periodo molti paesi europei rispondevano alla crisi in maniera diametralmente opposta, portando gli investimenti nel settore istruzione e ricerca al 5,3% di Pil, per poi scendere al 5% negli anni a seguire.
Il tempo perso sul fronte delle politiche scolastiche si traduce specularmente ogni anno in centinaia di migliaia di bambini persi alla scuola (i cosiddetti Early school leavers), su cui l’Italia – pur avendo fatto significativi passi in avanti – resta indietro, attestandosi attualmente a un 14,5%.
Una percentuale indubbiamente migliorata negli ultimi dieci anni (-5,1% dal 2008), che pero’ dal 2017 ha visto di nuovo un leggero aumento dopo un lungo trend positivo. E soprattutto un dato che nasconde forti diseguaglianze a livello territoriale, con regioni che hanno gia’ centrato l’obiettivo europeo (Trento, Umbria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia) e regioni dove il tasso di dispersione supera il tetto del 20% (Calabria, Sicilia e Sardegna).
La mancanza di investimenti sulla scuola si evidenzia anche sulla condizione delle strutture scolastiche: nell’Italia dei terremoti e del dissesto idrogeologico, le scuole sicure sembrano essere un miraggio e nella gran parte sono totalmente impreparate a possibili emergenze. Su un totale di 40.151 edifici censiti dall’anagrafe dell’edilizia scolastica, ben 7.000 sono classificati come “vetusti”, circa 22.000 sono stati costruiti prima degli anni Settanta e delle norme che hanno introdotto l’obbligo di collaudo statico (sono 15.550 quelle che ne sono prive) e un numero ancora maggiore prima del 1974, anno di entrata in vigore delle norme antisismiche. Nelle aree ad alta e medio-alta pericolosita’ sismica, sono ben 13.714 gli edifici scolastici che non sono stati progettati per resistere a un terremoto ed e’ antisismica appena una scuola su cinque.

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