L’olio di palma e tutti i “senza” che illudono la nostra vita

La colazione. Quel momento in cui restiamo, qualche volta, soli con gli oggetti che la compongono. Una tazza, il latte, il caffè e qualche biscotto. Restiamo in silenzio, perché ancora il sole è nascosto dietro le colline. Il profumo di caffè che invade quello spazio domestico, una luce morbida accarezza gli oggetti sulla tavola e sottovoce le notizie dei telegiornali. Coronavirus, Renzi, le partite del sabato, l’ultimo omicidio e la truffa delle casette del post terremoto. Tutto in ordine, tutto come previsto. Il caffè sale, il latte bolle e l’alba entra dalla finestra di levante. Non rimane che inzuppare i biscotti nel latte, non rimane che immergere quella bontà di pastafrolla e gustare il primo piacere della giornata. Ma proprio in quel momento, esattamente mentre tutto si compie, lo sguardo cade nel pacco dei biscotti, nella confezione del latte. Senza olio di palma, senza lattosio, senza glutine, senza … senza qualcosa.

Siamo circondati da prodotti, da persone, dai idee che sono pubblicizzate o si autopromuovono per non avere qualcosa. Sembra che l’elemento più importante sia comunicare che manca qualcosa che in passato c’è sempre stata. In ogni prodotto manca qualcosa. Non basta dire semplicemente che quelli sono biscotti, che sono fatti con certi ingredienti: bisogna anche dire che manca qualcosa. Lo scriviamo bene e con caratteri in evidenza. Quando si torna dal fare la spesa la domanda è: hai preso quel prodotto, quello senza …. ? E guai se non c’è scritto almeno una volta che manca qualcosa. Vale anche per i rapporti umani?

Sembra un gioco di parole. Ma tutto si divide in ogni campo in: “manca qualcosa” e “c’è qualcosa”. La qualità dipende da queste due espressioni. Il filo conduttore è la difesa dell’ambiente, la salvaguardia della nostra salute e la territorialità dei prodotti. E questo mi sembra giusto.

Improvvisamente alcuni materiali diventano portatori di effetti negativi. Il più famoso è l’olio di palma, poi a seguire il glutine, lo zucchero, ecc.. L’elenco è infinito e il consumatore trascina il proprio interesse verso l’una o l’altra marca, in funzione della capacità, dell’azienda stessa, di dichiarare la mancanza di un elemento – mediaticamente rilevante – nella composizione di un prodotto. Poi a caratteri minuscoli, nel retro etichetta, c’è l’elenco (virtuale) degli ingredienti impiegati. Chissà se tra qualche anno, qualcuno scoprirà che il carbonato acido d’ammonio è letale per la nostra salute. Chissà se la melassa e gli agenti lievitanti saranno banditi dagli ingredienti per fare i biscotti. Ma la domanda più imbarazzante è cosa c’è veramente dentro quel prodotto. Assistiamo spesso a un ping-pong tra prodotti che fanno male e poi fanno bene; medicinali presi per anni e poi ritirati dal mercato; tecnologie presentate come risolutive dei problemi ambientali senza che nessuno lo s certificare a lungo termine; soluzioni che producono altre problematiche davanti alle quali noi non siamo preparati.

Poi leggiamo che non c’è l’olio di palma ma il grano saraceno viene da chissà dove. Trasportato magari in condizioni igieniche precarie. Poi leggiamo che tutti vanno verso l’elettrico ma qualcuno avverte che qualcosa non va. Nelle etichette dovremmo mettere l’incidenza dell’impronta dell’acqua, per valutare il reale impatto ambientale. Capire quante energie e risorse si consumano per fare un biscotto; da dove vengono gli ingredienti. Invece tra poco, nell’etichette della pasta scompariranno molte informazioni. Chissà, sarebbe meglio avere etichette trasparenti e intelligenti. Forse il problema non è solo l’olio di palma. Che poi, vorrei sapere chi lo produce e gli effetti sull’economia di quei produttori e se il prodotto sostituto non produce più anomalie al sistema complessivo. Chissà. Vorremmo saperlo tutti. Nel frattempo molte campagne dei nostri territori sono abbandonate e subiscono processi di desertificazione.

L’ecologia è equilibrio. L’ecologismo è una moda. Come avviene in architettura, per esempio. Tutti a fare case ecologiche con materiali innovativi che potrebbero avere un più forte impatto sull’ecologia di sistema: questa casa è senza cemento, senza plastica, senza qualcosa. Questa casa è tutta in legno. Ma se tutti facessimo case ecologiche in legno? Dove lo prendiamo il legno, su Marte? Ecologia è equilibrio complessivo, territorialità, uso sapiente delle risorse disponibili.

La colazione volge al termine, ormai non resta che ripartire. Intorno a noi tutto si sveglia e si riaccende. L’istante della riflessione sfuma rapidamente e rimane un dubbio: ma come erano i biscotti quando c’era l’olio di palma? Qualcuno ha percepito la differenza? Cioè, c’è o non c’è differenza? Cosa cambia? Certo è che siamo attratti da quelle pubblicità che escludono qualcosa. E malgrado non vogliamo ammetterlo, questo modo di essere ci rassicura anche in altri settori.
Siamo più sereni se dentro la nostra vita non c’è qualcosa che altri hanno deciso per noi. Qualche volta funziona, altre volte si chiama discriminazione, razzismo, emarginazione e spesso è frutto di malafede.
Buona colazione. E voi che biscotti mangiate?

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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