Palagonia, omicidio Manduca: Cassazione accoglie ricorso orfani su risarcimento. Disposto nuovo processo d’appello

E’ stato accolto dalla Cassazione il ricorso dei figli di Marianna Manduca, la donna uccisa dal marito nell’ottobre 2007, contro la sentenza della Corte d’appello di Messina che aveva detto no al risarcimento nei loro confronti da 259mila euro da parte della presidenza del Consiglio.

Con una sentenza depositata oggi, la terza sezione civile della Suprema Corte, accogliendo il ricorso presentato da Carmelo Cali’ – cugino di Manduca, in qualità di “genitore esercente la patria potestà” sui tre orfani – ha annullato la sentenza di secondo grado e disposto un nuovo procedimento davanti alla Corte d’appello di Catanzaro.
La donna venne uccisa dal marito, Saverio Nolfo, a Palagonia, nel 2007, dopo ben 12 denunce rimaste inascoltate. Nell’udienza svolta il 10 febbraio scorso al ‘Palazzaccio’, il sostituto pg della Cassazione Mario Fresa aveva invece sollecitato il rigetto del ricorso di Cali’ e la conferma della sentenza della Corte d’appello di Messina, secondo la quale i tre ragazzi orfani dovevano restituire il risarcimento accordato loro in primo grado.

Siamo molto soddisfatti della risposta di giustizia arrivata oggi con questa sentenza della Corte di Cassazione.
Una sentenza di portata storica”. Cosi’ l’avvocato Licia D’Amico, che insieme all’avvocato Alfredo Galasso difende i tre orfani di Marianna Manduca, commenta all’Adnkronos la decisione dei giudici della Terza Sezione Civile della Suprema Corte che hanno annullato la sentenza di secondo grado dei giudici di Messina e disposto un nuovo giudizio davanti alla corte di Appello di Catanzaro per il risarcimento. Un risarcimento di 250 mila euro riconosciuto in primo grado, dopo che era stata ravvisata la responsabilita’ civile dei magistrati, la donna aveva infatti presentato 12 denunce contro l’uomo che l’ha poi uccisa a coltellate, e poi annullato dai giudici della Corte d’Appello.

‘Questa sentenza che accoglie pienamente il nostro ricorso riconosce – sottolinea l’avvocato – che quanto era stato deciso dalla Corte di Appello di Messina era errato. Ora ci attende un nuovo grado di giudizio. Intanto e’ arrivato quello che chiedevamo, una parola di giustizia, una sentenza che ne cancella una sbagliata, che toccava una vicenda dolorosa, un femminicidio, una donna, Marianna, che aveva denunciato ma non era stata ascoltata. Oggi arriva un messaggio di incoraggiamento per chi e’ vittima di violenza”.

”E’ sentenza importantissima, non solo per la nostra famiglia ma per tutte quelle persone che hanno denunciato e non hanno avuto giustizia”. Cosi Carmelo Cali’, cugino di Marianna Manduca, uccisa dall’ex compagno nel giugno del 2007 a Palagonia, in provincia di Catania, commenta all’Adnkronos la sentenza della Cassazione che ha accolto il ricorso sul risarcimento presentato dai tre orfani. Carmelo dopo il femminicidio insieme alla moglie ha adottato i tre figli di Marianna che vivono ora con lui nelle Marche.

”Ora attendiamo il nuovo giudizio davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro. Io nella giustizia ho sempre creduto – sottolinea – come anche mia cugina Marianna che ha reagito alla violenza e ha denunciato dodici volte il suo aguzzino prima di essere uccisa. Io e tutti i ragazzi siamo sereni e abbiamo un solo pensiero, quello di avere giustizia”.

Una motivazione “perplessa e contraddittoria” quella con cui la Corte d’appello di Messina, nel marzo 2019, nego’ il diritto al risarcimento per 259mila euro ai tre figli orfani di Marianna Manduca, uccisa dal marito Saverio Nolfo – poi condannato a 21 anni con abbreviato – nel 2007 a Palagonia, in provincia di Catania. Cosi’ la Cassazione, nella sentenza depositata oggi con la quale ha accolto il ricorso di Carmelo Cali’ – cugino della vittima e oggi padre adottivo dei suoi figli (due dei quali tuttora minorenni) – e disposto un nuovo processo a Catanzaro, spiega le ragioni della sua decisione in materia di responsabilita’ dei magistrati, perche’ rimasero inascoltate le numerose (ben 12) denunce della donna: “La contraddizione della motivazione del giudice d’appello e’ evidente – osserva la Suprema Corte – in concreto la Corte di merito afferma che, stante l’intento omicidiario di Nolfo del tutto comprovato, dal successivo svilupparsi degli eventi, qualsiasi intervento dell’ufficio giudiziario sarebbe stato ininfluente”.

I giudici di ‘Palazzaccio’ parlano dunque di una “eccessiva frammentazione dei fatti, con conseguente inintelligibile polverizzazione di alcuni episodi”, per cui si “priva di rilevanza l’antecedente logico, ossia la condotta omessa” e si afferma, nella sentenza impugnata, “che qualunque essa potesse essere, l’evento di danno si sarebbe comunque verificato”. In tal modo, i giudici messinesi, si legge ancora nella sentenza, hanno “dilatato l’incidenza dell’inadempienza dell’organo giudiziario ai limiti del caso fortuito e della forza maggiore, o, comunque, ha ristretto l’evitabilita’ dell’evento ai soli casi di assoluta impossibilita’ di una condotta positiva alternativa”.

In una delle sue denunce, infatti, Marianna Manduca aveva riferito che il marito le si era posto davanti pulendosi le unghie con un coltello: i giudici messinesi, a tal proposito, avevano si’ rilevato che non era stata eseguita una perquisizione a carico dell’uomo ne’ il sequestro del coltello, ma anche che “in considerazione della fermezza del proposito omicida di Nolfo”, il quale uccise la moglie “per strada, sotto gli occhi di diversi passanti e dello stesso padre della vittima, incurante, quindi, di essere immediatamente scoperto”, la perquisizione e l’eventuale sequestro del coltello “non avrebbero impedito la morte della giovane mamma”.

Su tutti questi punti, la Corte d’appello di Catanzaro – ai quali sono stati trasmessi gli atti viste le precedenti decisioni “con esiti grandemente difformi” dei giudici messinesi – dovra’ ripronunciarsi: tra le questioni che affrontera’ (oggi ritenuta assorbita dai giudici di piazza Cavour) anche quella dell’applicabilita’ della legge sullo stalking, che non era in vigore all’epoca dei fatti, per il risarcimento del danno non patrimoniale, finora mai riconosciuto ai ricorrenti nei vari giudizi.

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