Adrano, un anno dopo la Consacrazione il messaggio del Vescovo Schillaci alla diocesi di Lamezia Terme

Adrano, un anno dopo la Consacrazione il messaggio del Vescovo Schillaci alla diocesi di Lamezia Terme

Ad un anno dalla Consacrazione a Vescovo di Lamezia Terme, Mons. Giuseppe Schillaci invia un messaggio alla diocesi:

“…vi scrivo dal mio paese natale, Adrano”. Schillaci, dopo l’intervento al cuore e il ricovero al Policlinico Gemelli di Roma, ha deciso di trascorrere nella casa di famiglia in Sicilia un periodo di riposo. La notizia bellissima è che domenica 12 luglio il Vescovo Schillaci dovrebbe celebrare la messa delle ore 10.30 nella Chiesa di Santa Lucia ad Adrano.

Ecco il testo integrale del messaggio di Mons. Schillaci alla Diocesi di Lamezia Terme.

Cari fratelli e sorelle della nostra amata Chiesa che è in Lamezia Terme,

scrivo a voi questo messaggio dalla mia Sicilia, dal mio paese natale Adrano, dove sono nato e cresciuto. Qui prosegue la mia convalescenza, con alti e bassi, dopo l’importante intervento chirurgico, tra paure, attese, trepidazioni, grandi speranze e tanta fiducia. In questi giorni sono accompagnato con grande amorevolezza dai miei cari, in particolare dalla mia mamma Lia (ormai quasi ottantasettenne), ma anche dai medici del Gemelli e da alcuni medici originari di Adrano nel vicino ospedale di Biancavilla. Sto imparando che, in questo periodo della mia vita, ci vuole pazienza! Questa nobile, robusta e grande virtù umana e cristiana, sulla quale ci sarebbe tanto da dire.

Negli anni scorsi ho avuto modo di scrivere anche qualche piccola cosa a partire da questa mistica e filosofa francese, di cui vi accennai appena appena qualcosa lo scorso anno: Simone Weil. Ogni tanto attingo a questo mio bagaglio personale da cui traggo a volte sostegno e ispirazione. Ma il vero bagaglio da cui non smettere mai di trarre fervore, passione, gioia, che non mi abbandona e che non ci abbandona mai, è il Vangelo: Gesù Cristo! Perciò se c’è qualcuno da cui possiamo imparare veramente la pazienza è Lui: Cristo. È Lui il grande paziente! (“La Carità è paziente” 1 Cor 13,4).

Non dimentichiamo mai la misura alta con la quale confrontarci senza paura! Il Vangelo è il programma, il piano pastorale, l’ispirazione, la fonte inesauribile, la vita, per noi che disideriamo essere discepoli del Signore Risorto. Infatti spesso ci diciamo e diciamo, sempre con dolcezza e rispetto, che non sappiamo altro e non desideriamo sapere altro. Nei giorni trascorsi in ospedale, dal 17 maggio in poi, ma devo dire anche adesso, penso spesso a queste parole di Paolo:
“fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della Parola o della Sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo Crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio” (1 Cor 2, 1-5).

Lasciamo che questa parola parli ancora e sempre a ciascuno di noi e alla nostra vita, per primo al Vescovo: Cristo Crocifisso! Questa parola che non ha bisogno di giri di parole, di artifici, di strategie opportunistiche, di camuffamenti, o peggio di omertà e imbrogli, e ancora non si serve di uno spirito di prevaricazione, di logiche di potere e di violenza di ogni tipo, soprattutto penso alle parole più subdole, meschine e più mafiose… La parola alla quale noi facciamo riferimento si manifesta in modo palese, alla luce del sole, in una vita autenticamente cristiana.

Non siamo delle tenebre ma della luce (cf. 1 Ts 5, 5). È la parola vera che svela i pensieri dei nostri cuori, che a volte fa male, che altre volte ci consola, che spesso ci interroga, perché è la nostra guida in ogni cosa e ci orienta veramente nel nostro cammino della vita. Una Chiesa che smarrisse Cristo perderebbe se stessa, quindi la propria natura e la propria missione. Papa Francesco ci ricorda che una Chiesa che non confessa Cristo sarebbe al pari di una ONG assistenziale, una bella organizzazione che, pur pensando agli altri, non pensa ad altro che ad apparire, a mostrarsi, magari a mostrare i muscoli sfoggiando onori, privilegi, potere, forza.

Ci ritroveremmo, in tal modo, semmai dinanzi ad una realtà che si confronta con le potenze di questo mondo ponendo in essere parametri, criteri di misura che non hanno come punto di riferimento Cristo. Una Chiesa siffatta non si manifesterebbe come la Sposa di Cristo. La Chiesa infatti annuncia, celebra, testimonia Cristo.

Nel primo anniversario della mia ordinazione episcopale (due giorni fa ho ricordato il mio 33 anniversario di presbiterato 4 luglio 1987 s. Lucia Adrano), permettetemi di esprimere la mia lode al Signore “che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2, 20). Di questo amore che si dona sento forte il bisogno. Amare si coniuga bene sempre con dare! Non c’è amore più grande di chi dà…chi dà anzitutto non cose ma se stesso, la vita, la propria vita (Cf. Gv 15, 13). I discepoli si confrontano serenamente, ma anche seriamente con questo genere di amore. S. Maria Goretti di cui facciamo memoria rimane per noi un mirabile esempio di come l’amore si manifesta nell’innocenza e nella purezza de cuore. Domandiamo per tutti noi la sua intercessione per una sequela limpida, generosa e fedele.

Carissimi, infatti, cosa annunceremmo, cosa annuncerei, ai fratelli e alle sorelle senza questo smisurato amore che mi e ci raggiunge, che mi e ci interpella, che mi e ci plasma, se non me stesso, se non noi stessi. Sì, carissimi presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, fedeli tutti, lasciamoci inondare dall’amore infinito di Cristo, dalla sua bontà misericordiosa: dal suo Agape! Abbiamo sotto gli occhi i nostri giorni, questo nostro tempo del coronavirus, e attendiamo i giorni che verranno, anzitutto amando; amando Dio, il prossimo, noi stessi, il creato, tutti!

Entriamo nel dinamismo e nella qualità di questo Amore sempre più inclusivo. Amiamo pensando al nostro oggi e al nostro domani, nella nostra casa comune, custodendola in modo fattivo, concreto, nuovo, creativo. Non chiudiamoci in noi stessi, nelle nostre cose, nei nostri interessi personali o di gruppo, oppure nelle nostre ansie, angosce e paure, ma dischiudiamo sempre più il nostro cuore, il nostro pensiero, la nostra vita. Gettiamo via il male con le sue opere, rifiutiamo egoismi, ogni genere di cattiveria, maldicenza, ostilità, abbracciamo, invece, con tutto noi stessi il bene. Il bene sempre! Non lasciamoci, soprattutto, tentare dal disprezzo per il povero, per l’umile, per l’indifeso. Ricordiamolo sempre, nei più piccoli, nei più bisognosi, nei più poveri, umanamente e spiritualmente, incontriamo il Signore della nostra vita che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen!

Giuseppe Schillaci, Vescovo di Lamezia Terme

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