C’erano una volta le ‘criate’: domestiche e schiave nelle case dei padroni

C’erano una volta le ‘criate’: domestiche e schiave nelle case dei padroni

di Patrizia Orofino

Il termine Criata, trova nell’origine aragonese il suo significato. “Criada”, infatti, vuol dire serva, domestica, e le sue mansioni venivano esplicate all’interno delle case aristocratiche e benestanti della Sicilia dell’epoca del Gattopardo fino ad arrivare agli anni cinquanta del novecento.

Ma chi era la criata che andava a servizio dai signori? Era poco più di una bimba, al massimo dodicenne veniva affidata a famiglie che potevano permettersi di provvedere al suo sostentamento, cosa che nelle famiglie d’origine per causa di povertà non era sempre assicurato, anzi cedere una figlia significava una bocca in meno da sfamare.

“A’ bona crianza de patruni,” cioè la tradizione degli aristocratici era quella di possedere molti servi, questo significava potere. Un nobile era più forte e benestante di un altro proprio perché aveva tanta manovalanza a servizio del suo podere.Sicil

Si parla di possesso, sì, perché una domestica e in questo caso una criata non veniva considerata una persona eguale ai ricchi, era una proprietà. Le serve minorenni venivano trattate a sufficienza dai padroni che facevano pesare la loro condizione sociale, l’analfabetizzazione e i loro modi di fare privi di grazia e classe.

La storia delle criate ha rappresentato una della pagine buie della storia della nostra terra.

Si era soliti dire: “A’ criata su non è tuccata è maniata”, ovvero se la serva non veniva toccata sessualmente veniva comunque molestata. I padroni solevano servirsi delle criate per soddisfare i loro piaceri sessuali e le ragazzine dovevano sottostare e rispondere: “Comu vossignuria cumanna”. Se si ribellava, la criata veniva buttata fuori e non sempre riaccolta in famiglia.

Se la serva restava incinta del padrone o di qualche altro componente della famiglia, per non creare scandalo, veniva data in sposa a un mezzadro o a un contadino in cambio di un pezzetto di terra, per garantirne il silenzio. I figli illegittimi venivano abbandonati “ndà rota” quel meccanismo medievale che funzionava come una ruota che dall’esterno in anonimato permetteva di lasciare i piccoli ruotando questo cilindro verso l’interno dei cortili delle chiese, degli orfanotrofi o conventi.

Raramente la criata diveniva una figlia adottiva ossia ‘na’ figghia da pruvvidenza’, questo accadeva quando i signori non avevano figli e si affezionavano alla bimba, rari miracoli di altrettante persone dotate di amore e generosità.

Questa pagina della storia siciliana scarsamente documentata, rappresenta storie dell’ odierna violenza di genere, con soprusi subiti e taciuti.

Agli inizi degli anni sessanta le criate sparirono dalle case dei signori: avevano alzato la testa chiedendo diritti ad avere una vita da lavoratrici remunerate secondo le leggi a tutela dei lavoratori.

Nulla però potrà restituire il dolore di una madre costretta ad abbandonare suo figlio per la vergogna, le violenze sessuali ripetute e continue nei confronti di ragazzine innocenti.

Questo dovrebbe farci riflettere tutti, quando ad esempio per un titolo di studio o per una posizione sociale di privilegio ci autoproclamiamo élite che giudica una persona dal modo di vestire oppure dal modo di parlare non grammaticalmente perfetto e guardiamo dall’alto in basso chi magari non è stato fortunato ad avere una famiglia alle spalle.

Ecco cosa dovrebbe insegnare la storia del passato: far ricordare chi eravamo e dove abbiamo sbagliato per non errare più in futuro. Ricordare le criate migliora la storia presente e futura di tutti noi.

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