Nel Catanese il settore moda è il più colpito dal covid: “Perdita del 70%”. Chiesta rottamazione delle scorte

Nel Catanese il settore moda è il più colpito dal covid: “Perdita del 70%”. Chiesta rottamazione delle scorte

“Nel Catanese, il settore della moda, abbigliamento e calzature, è il più colpito e la stragrande maggioranza delle imprese dell’area metropolitana etnea non è riuscita a risalire la china neppure con l’incentivo dei saldi già avviati da oltre una settimana”.

A parlare è Claudio Miceli, presidente di Confesercenti dell’area metropolitana.

“Una perdita che complessivamente si aggira intorno al 70% del fatturato – aggiunge – ma che si trascina dietro i cospicui investimenti effettuati almeno 6-8 mesi prima dello scoppio della pandemia e cioè a settembre-ottobre del 2019 che non potranno essere coperti neppure nel corso dell’anno appena entrato.

Se tutto va bene, riusciremo a rivedere la luce ad aprile del 2022, ma sempre che le imprese abbiano nel frattempo le spalle larghe per far fronte agli impegni assunti”.

Una crisi che si ripercuote a livello occupazionale “Raccogliamo le istanze dei nostri soci – sottolinea il direttore di Confesercenti Catania Francesco Costantino – e molti sentono la preoccupazione di dovere adottare misure aziendali drastiche come la riduzione del personale o addirittura la chiusura di punti vendita, con un 12% di commercianti che nel sondaggio regionale ha dichiarato di aver già chiuso un ramo d’azienda”.

Per Miceli è necessario che la Regione faccia sentire la propria voce nei confronti del Governo nazionale:

“Tra le misure che invochiamo in modo improcrastinabile c’è la ‘rottamazione’ della scorte in magazzino nella misura della differenza tra l’invenduto del 2019 e quello del 2020, oltre naturalmente ad altri interventi, come il credito di imposta al 40%, la riduzione almeno al 30% della soglia di calo del fatturato (oggi al 50%) per poter aver diritto alla riduzione dell’affitto; serve la sospensione delle tasse locali, l’abbattimento del costo del lavoro e complessivamente una riduzione della pressione fiscale.

Noi non chiediamo soldi- conclude Miceli- ma una maggiore liquidità per poter far fronte alle spese e per poter garantire anche i nostri dipendenti, ai quali la cassa integrazione deve essere garantita in maniera puntuale”

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