Class action contro Apple sull’obsolescenza programmata: telefoni resi inservibili per essere sostituiti

Class action contro Apple sull’obsolescenza programmata: telefoni resi inservibili per essere sostituiti

La class action lanciata da Altroconsumo nei confronti di Apple riaccende una la polemica sull’obsolescenza programmata dei device esplosa soprattutto dopo il boom degli smartphone.

L’associazione ha chiesto tramite il Tribunale di Milano un risarcimento pari a 60 milioni di euro “per tutti i consumatori italiani ingannati dalle pratiche di obsolescenza programmata riconosciute anche dalle autorità italiane”.

La class action interesserà i proprietari di iPhone 6, 6 Plus 6S e 6S Plus, prodotti che corrispondono a oltre 1 milione di unità vendute in Italia fra il 2014 e il 2020. Il risarcimento richiesto corrisponde alla cifra pagata dai consumatori per la sostituzione della batteria del dispositivo, che oscilla fra i 29 e gli 89 euro. Ma cos’è l’obsolescenza programmata?

Nota anche come ‘obsolescenza pianificata’, si tratta di una pratica commerciale di cui si parla già da molti anni ma che è diventata oggetto di aspre critiche negli ultimi 10-15 anni. La critica principale è rivolta ai produttori, ritenuti colpevoli di preordinare, programmare, la scadenza dei loro prodotti in modo che i consumatori siano costretti a sostituirli comprandone di nuovi. Una prassi criticata dai gruppi di consumatori in tutto il mondo perché non etica. Spesso denunciata, ma dimostrata solo nel 2017, il sospetto è che sia particolarmente diffusa nel settore dell’elettronica, producendo così montagne di rifiuti non riciclabili ogni anno.

A muovere i primi passi contro questa pratica è stata la Francia, che nel 2015 approvò una norma, la cosiddetta “legge Hamon”, che la rese illegale e – almeno sulla carta- fissò l’obbligo per i venditori a fornire pezzi di ricambio se disponibili. La legge prese il nome dall’ex ministro socialista Benoit Hamon e stabilì inoltre che una società ritenuta colpevole di programmare l’obsolescenza dei propri prodotti avrebbe potuto subire una multa fino al cinque per cento delle sue vendite annuali. Nel 2018 la Procura di Parigi avviò anche un’indagine su Apple per verificare l’estensione di tale pratica.

Altroconsumo accese i fari sull’obsolescenza programmata dei prodotti Apple già nel 2014. Ma solo nel 2018 il tema diventò popolare, quando il 24 ottobre l’Antitrust decise di multare per 10 milioni Apple e per 5 milioni Samsung per aver rilasciato alcuni aggiornamenti del firmware dei cellulari colpevoli di provocare “gravi disfunzioni” e di ridurre in modo significativo le prestazioni accelerando il processo di sostituzione degli stessi.

Le due società, scrisse allora il garante in una nota, inducevano i consumatori “mediante l’insistente richiesta di effettuare il download e anche in ragione dell’asimmetria informativa esistente rispetto ai produttori ad installare aggiornamenti su dispositivi non in grado di supportarli adeguatamente, senza fornire adeguate informazioni, ne’ alcun mezzo di ripristino delle originarie funzionalità dei prodotti”.

Di obsolescenza si è spesso parlato, ma per lunghi anni senza mai portare prove. Poi Apple nel 2017 ammise per la prima volta di aver regolato al ribasso la velocità dei processori man mano che la batteria dell’iPhone si deteriorava, in modo da mantenere gli smartphone funzionanti.

Un’ammissione indiretta dell’esistenza di una programmazione dell’obsolescenza dei propri prodotti. In quell’occasione Cupertino sottolineò che l’obiettivo della riduzione delle prestazioni era per tutelare i clienti ed evitare l’arresto improvviso dei device. Ma di averlo fatto ‘dimenticando’ di avvisare gli utenti dell’esistenza di un software che gestiva i picchi energetici della batteria.

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