Catania, ex ‘Santa Marta’. Cantone: “Ospedali dismessi, interventi dimessi. Serve un’altra piazza a due passi da Piazza Dante?”

Catania, ex ‘Santa Marta’. Cantone: “Ospedali dismessi, interventi dimessi. Serve un’altra piazza a due passi da Piazza Dante?”

Al dibattito promosso dal Corriere Etneo sulla trasformazione in atto nell’area dell’ex ospedale ‘Santa Marta’ di Catania interviene oggi l’architetto Aurelio Cantone, libero professionista.

Architetto, si è fatto una idea sulla vicenda che sta coinvolgendo l’area dell’ex ospedale Santa Marta? È d’accordo sulla ipotesi di demolire i volumi dell’ex nosocomio per creare una piazza?

Se dovessi dare un titolo alla vicenda relativa all’ex ospedale Santa Marta, che è anche relativa alle altre aree ospedaliere dismesse, sceglierei questo: “Ospedali dismessi, interventi dimessi”.

Già, perché si ragiona al ribasso, si ragiona pensando a piccoli interventi che interessano solo parti di esse – magari sempreché si realizzino subito, prima delle elezioni regionali – e non si riesce a comprendere la necessità di un quadro di riferimento, le necessità della individuazione delle risorse economiche necessarie alla spesa complessiva per la totale loro riqualificazione, la necessità della previsione del tipo di ricaduta sociale ed economica sulla città e sui singoli quartieri, che questi interventi possono avere.

Riguardo la demolizione, ormai in corso, della parte moderna del Santa Marta, sarebbe stato necessario un ragionamento che non fosse “a pelle” ma analitico, che precedesse il giudizio meramente estetico basato sulla conoscenza della formazione ed evoluzione della città, sui suoi caratteri morfologici, sulle sue stratificazioni. Per ciò la decisione di demolire e di realizzare qualcosa (ma cosa? perché una piazza e non un altro edifico?) deve essere compiuta dopo l’analisi dell’intera parte di città che non è priva di complessità: a pochi metri c’è un altro ospedale dismesso, il Santo Bambino, c’è un’opera incompiuta ed abbandonata, la aule di Giurisprudenza di via della Purità, ci sono a due passi tracce delle mura urbane e un bastione della città pre-terremoto, etc..

Eppure si propone una piazza e non si è nemmeno deciso che fare degli altri edifici dello stesso complesso ospedaliero! Eppure si parla di riqualificazione e non si pensa a far trasferire il rifornimento di benzina sito a venti metri di distanza!

Non ritiene dunque necessario aumentare lo spazio pubblico urbano della città attraverso la creazione di vuoti?

Certo, a Catania abbiamo necessità assoluta di spazi vuoti, di piazze, di piccoli e grandi luoghi di pausa tra l’edificato che ne migliorerebbero la qualità urbana, ne aumenterebbero la vivibilità essendo così più fluida la fruizione; che contribuirebbero alla sua più completa articolazione se si configurassero come ulteriori centralità urbane; che, ultimo ma non per ultimo, ne aumenterebbero la sicurezza sotto il profilo del rischio sismico che è una vera e propria spada di Damocle che questa città continua a sottovalutare quando invece dovrebbe essere il primo parametro in base al quale misurare gli interventi e le trasformazioni ed il principale obiettivo della nuova pianificazione della nostra città.

Allora, sì a nuove piazze ma laddove mancano e laddove se ne vede la necessità. C’é necessità di un’altra piazza a due passi da piazza Dante?

Ha avuto modo di vedere la proposta presentata dal presidente della Regione nei giorni scorsi?

Ho visto quanto pubblicato sui giornali a stampa e on-line. Non amo parlare di un progetto che conosco poco e di questo progetto in modo particolare per quanto ho detto sopra: la decisione della realizzazione di una piazza è immotivata ed estemporanea, la sua unica motivazione sta nel non avere idee su cosa debba sostituire l’edificio demolito. Dunque inevitabilmente, al di là delle sue scelte formali, lo ritengo un progetto sconsiderato (letteralmente: privo di considerazioni), ovvero privo di ragionamenti, motivazioni, di idee che ne fondino la necessità e ne indichino il ruolo. La decisione sulla sostituzione dell’edificio con una piazza, o con altro, non può e non deve essere estrapolata dalla individuazione del destino almeno dell’intero isolato, inclusa la destinazione d’uso da dare agli edifici che restano. Mentre adesso si opera al contrario: prima si decide di fare qui la piazza, là (al Vittorio Emanuele) un museo, poi, sull’onda delle lamentele dei cittadini, si convocano i tavoli (ma sempre ristretti) per discutere sulle destinazioni delle aree ex ospedaliere!

La procedura si commenta da sola, così come si commentano da sole le varie proposte avanzate per il Santa Marta: il presidente Musumeci, al quale peraltro non spetta decidere sui destini urbanistici di nessuna città siciliana, ha proposto per l’ex Santa Marta dapprima il museo della Medicina (e dagli coi musei!) poi la sede della Soprintendenza e per ultimo genericamente uffici. Certo che non sa che pesci pigliare, non ha sufficienti elementi e conoscenze per capire quali sono le esigenze da soddisfare!

Debbo però affrontare in pieno la domanda, perciò aggiungo che capisco le difficoltà del progettista a proporre una soluzione chiara in assenza di convincenti indicazioni da parte della committenza. Così inevitabilmente il progetto risulta ondivagante e non riesce ad essere sintesi di obiettivi diversi; e così il portico vuole essere un fronte (e non può esserlo), la piazza vuole assumere il ruolo di corte (e non può esserlo), i pilastroni con l’alternarsi delle pietre storicamente usate a Catania voglio ricollegarsi alla sua tradizione costruttiva (e non riescono ad essere citazione delle lesene degli edifici storici catanesi), la copertura del portico con pannelli fotovoltaici vuole essere politicamente corretta (ma la sua consistenza materica incongrua rispetto al peso dei suoi sostegni sembra ridurla ad una strizzatina d’occhio all’ambientalismo).

Il Comune di Catania non ha voluto procedere affidandosi a un concorso di idee. Cosa ne pensa a riguardo? Ritiene più vantaggioso l’affidamento diretto o la consultazione?

Correggo: l’iniziativa è partita dalla presidenza della Regione che ha assunto in comodato d’uso dall’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Catania le aree degli ospedali dismessi. Tale istituzione in prima istanza era determinata a ricorrere alla “gara di progettazione”, come affermato delibera di giunta regionale n. 296/2020 con la quale approvava il progetto di demolizione. Quali le ragioni per cui ha cambiato idea non siamo in grado di sapere.

Che ruolo può avere la “partecipazione democratica” nella definizione di questo progetto e più in generale nei processi di rigenerazione urbana?

La vera partecipazione non si ha a valle del procedimento, ma allorquando i cittadini vengono coinvolti nel processo che porta alla assunzione delle scelte; è durante questo percorso che essi posso incidere sulle decisioni, che poi sono decisioni che essi stessi porteranno avanti nei casi processi di rigenerazione urbana e che comunque influenzeranno la propria vita.

Il progetto architettonico è soltanto l’epilogo, che può certo essere messo a dibattito, come si fa laddove si crede nella partecipazione. Un recente esempio: a Bologna, durante tutta l’estate, sono stati esposti nella Sala Esposizioni di Urban Center, tutte le oltre cinquanta proposte relative al concorso di progettazione per il Giardino Pincherle e il 12 Luglio si è tenuto un confronto tra residenti, amministratori e autori del progetto vincitore.

Che ruolo possono avere gli architetti, gli ingegneri e gli intellettuali negli sviluppi di questa vicenda?

Semplicemente (si fa per dire) non fare spallucce, partecipare al dibattito che, anche con iniziative come questa del Corriere Etneo, in questi giorni si sta svolgendo, organizzare incontri e discussioni, conoscere la città. Ovvero essere a pieno titolo parte dirigente di questa città a partire dalla consapevolezza che il loro ruolo non è mai esclusivamente tecnico e che non può essere relegato alla funzione di mero ed incolpevole esecutore di scelte prese in altre sedi. Le responsabilità di quanto accade nella società non è soltanto del livello politico, è di tutta la “classe dirigente”, di cui professionisti ed intellettuali a vario titolo fanno inevitabilmente parte.

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