Una cosa è il restauro, un’altra il rifacimento: sul ‘pasticcio’ venuto fuori dalla destinazione dell’ex chiesa di San Francesco di Paternò – sala per degustazioni – interviene un’apprezzata esperta, originaria di Paternò (da anni vive e lavora a Vienna):
Alessandra Sciurello, laureata in ingegneria edile architettura e in specialistica di storia dell’arte.
Devo ammetterlo le politiche cittadine non mi interessano (di solito) ho lasciato il paese anni fa e non me ne sono mai pentita. Ogni tanto i miei amici che hanno avuto il coraggio di restare e cercare di rendere il loro paese un posto un po’ più accettabile e vivibile -e a loro dire persino bello- condividono con me fatti e misfatti che succedono. Di solito non sono molto interessata, ma oggi in particolare una storia mi ha colpita e devo ammettere non è stato in modo positivo. In genere non mi intrometto con le mie opinioni, di fatto ho deciso di partire e qualcuno potrebbe obbiettare sul mio diritto a immischiarmi nelle politiche del paese. Stavolta è un po’ diverso e sento che non posso non scrivere almeno due righe al riguardo. In fin dei conti in Italia vige ancora la libertà di parola… o almeno credo.
Per prima cosa cominciamo con una metafora:
Se a cena devo fare le panelle devo comprare la farina di ceci. Non posso fare le panelle con la farina di mais, avrei fatto polenta. Se compro poi la farina di frumento e seguo la ricetta delle panelle, posso dimenticarmi della cena. Sicuramente avrei un qualcosa di non velenoso, forse persino commestibile, ma da qui a chiamarlo cibo ne passa.
La stessa cosa vale per gli edifici. Se un edificio ha bisogno di un determinato intervento, come una ricetta ha bisogno di un ingrediente particolare, non posso farne un altro. Certo qualcosa ne esce ma cosa? Di certo non il risultato che sarebbe da desiderare.
Per cui se un edificio ha bisogno di un intervento chiamato RESTAURO, non si può parlare di RIFACIMENTO degli intonaci. E vi assicuro che esistono libri interi che parlano di linee guida per la conservazione e il restauro degli intonaci storici.
Seconda cosa bisogna imparare a chiamare le cose con il loro nome.
Non è difficile, ve lo assicuro, basta saper leggere o avere l’umiltà di chiedere a chi magari potrebbe saperne un po’ di più. L’imprecisione porta a confusione e a creazione di errori e talvolta a situazioni imbarazzanti. Non è questione di conoscenze architettoniche avanzate, è Italiano, si studia a scuola. Mi spiego: se qualcuno scrive “sala ex chiesa” di certo non intende “locali attigui”, se no avrebbe scritto “locali attigui alla sala della ex chiesa”. E se questo stesso qualcuno intendeva “locali attigui alla sala della ex chiesa” e scrive solo “sala ex chiesa” , per sbaglio ovviamente(!), deve avere l’umiltà di ammettere lo sbaglio e correggerlo, nel bene dell’immobile, della cultura e del paese.
Quindi per cortesia, impariamo a chiamare pane il pane e vino il vino, impariamo a chiamare le cose con il loro nome.
Di solito i legislatori sono molto precisi con le parole, molto più di me che ho studiato solo Ingegneria edile e Architettura, poi storia dell’Arte, e frequento per passione un corso di Politica ed Estetica.
Io, in fin dei conti, so sicuramente molto di più di edifici, arte ed estetica che di parole.
Alessandra Sciurello
Condivido l’articolo di Alessandra Sciurello sull’ibtervet nella chiesa di S. Francesco che reputo molto appropriato e motivato (ma anche divertente per l’uso delle metafore)