Suez. La nave di traverso è un segnale come il Covid: non tutto è disponibile per sempre

Suez. La nave di traverso è un segnale come il Covid: non tutto è disponibile per sempre

Siamo sempre più global. Le distanze si sono accorciate quasi all’infinito.

Suez. La nave di traverso è un segnale come il Covid: non tutto è disponibile per sempreUna nave, la Ever Given (ma su una fiancata ha scritto ‘Evergreen’), è incagliata nel canale di Suez e blocca – almeno ancora oggi – più di duecento navi. Al netto dei complottisti – che ci vedono sempre qualcosa di premeditato – la questione è veramente complessa e ha delle implicazioni importanti sui mercati di tutto il mondo. Il prezzo del petrolio per esempio sale e con questo quello dell’energia. I porti di tutta Europa sono in tilt e gli analisti si interrogano sulle implicazioni a cascata che questo incagliamento produrrà.

Le merci e quindi il mercato sono bloccati da una nave di traverso, in quel canale che collega l’Oriente all’Occidente e che gestisce il 12% del traffico mondiale.

La percezione che abbiamo – in Europa – è che nulla può cambiare le nostre abitudini, le nostre consuetudini. La merce di sempre sul bancone dei supermercati, il carburante sempre disponibile, l’energia elettrica senza fine e con questo anche le altre risorse del pianeta. L’Europa e più in generale i Paesi industrializzati – che determinano quote, interessi e flussi – hanno generato un’illusione che ci sta anestetizzando. La sensazione è che tutto sia disponibile e per sempre.

Basterebbe che nelle nostre case mancasse l’energia elettrica per sette giorni per mandare in tilt le nostre rassicuranti abitudini.

Suez. La nave di traverso è un segnale come il Covid: non tutto è disponibile per sempreTutti gli elettrodomestici fuori uso: frigo, forno, caldaia, condizionatori, frullatore, lavastoviglie, lavabiancheria, internet, ecc. ecc. Pensate se sparisse internet e quindi Facebook, Instagram, Twitter, Tic Toc e a seguire tutte le comunicazioni a cui siamo ormai abituati, compresa la tv. Se poi dovesse scarseggiare il carburante o mancare del tutto si parlerebbe di catastrofe, tutti a casa, tutti fermi, tutti fuori uso. La lista delle piaghe d’Egitto potrebbe essere infinita e non conviene soffermarci su tutte le possibili declinazioni, perché rischiamo di entrare nel panico più totale.

La pandemia del Covid, per esempio, ha già fornito molti spunti in questa direzione. Quando si deve bloccare un sistema produttivo e sociale – per minimizzare gli effetti della malattia – tutto diventa più complicato. L’umanità va in tilt e le certezze finiscono per diventare ansie e di conseguenza tragedie. Crollo dei mercati, disoccupazione, povertà, regressione e tanto altro.

Una nave di traverso è un segnale come il Covid. La prova che nulla è scontato e che dobbiamo provare a cambiare il paradigma che ci lega a questo pianeta.

Se non bastasse ci sono anche i cambiamenti climatici e non escluderei che sono alla base di molte di quelle anomalie che chiamiamo in tanti modi, ma che a questo punto dipendono forse proprio da noi. L’erosione delle coste, l’innalzamento del livello del mare, la metamorfosi della flora e della fauna, e perché no, anche la nostra, impongono delle riflessioni radicali. Le politiche green e sulla sostenibilità forse non bastano più o forse ancora non sono diventate patrimonio culturale di tutti; e quando dico tutti non parlo più solo degli amici del bar sotto casa ma della popolazione mondiale (industrializzata in particolare). Molte confessioni religiose e movimenti ambientalisti hanno costruito una piattaforma etica e filosofica per sostenere l’idea di “curare e custodire la terra” ma si vede che non basta. Serve un piano B e forse anche C.

Alcune riflessioni più pratiche andrebbero fatte.

Suez. La nave di traverso è un segnale come il Covid: non tutto è disponibile per sempreUna sola via commerciale, in regime di monopolio, non è più proponibile e non solo nel Mediterraneo. Questo collocherebbe la Sicilia come un potenziale hub con “un porto e un ponte” che la collegherebbe direttamente al continente Europa, utile non solo per i flussi demografici ma anche per le merci. L’alta velocità e una rete ferroviaria più capillare completerebbero il quadro generale, attuando le precondizioni necessarie allo sviluppo. La digitalizzazione globale e diffusa dovrebbe essere una priorità indispensabile, accessibile a tutti. Si tratta di passare da una condizione di monopolio strategico a tutte le scale a quella di condivisione delle risorse, per coordinare modalità e obiettivi. In pratica un nuovo paradigma che governi diversamente il rapporto tra risorse e territori secondo una visione di sistema multiscala, etico ed ecologico.
Risorse energetiche e idriche; qualità dell’aria e delle comunicazioni; accessibilità e disponibilità delle risorse alimentari, finanziarie e abitative; ecologia culturale, politica e sociale; tutela dei paesaggi e potenziamento della formazione, alla macro e alla micro scala. Tutto qui!

Ma continuiamo a passare tutti dallo stretto di Suez, senza fibra ottica nelle aree interne del mondo e del nostro Paese Italia; impegnati a sprecare risorse, a monopolizzare il mercato delle energie alternative, con prezzi ancora insostenibili per molti, allungando i tempi per il raggiungimento dell’autosufficienza di tutta la popolazione. Abbiamo delegato ogni nostra esigenza produttiva agli altri paesi e adesso siamo incagliati nelle secche del canale di Suez, oppure nell’indisponibilità della produzione cinese o nel gioco a monopoli tra le grandi potenze. La Sicilia dovrebbe fare una riflessione più ampia? Forse anche l’Italia e con lei l’Europa? Siamo o non siamo il più grande mercato del mondo?
Ri-organizziamoci prima che di traverso si metta qualcos’altro che fa più male.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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