La casa. Abitare dopo la pandemia: nuove funzioni per nuovi bisogni

La casa. Abitare dopo la pandemia: nuove funzioni per nuovi bisogni

Forse passerà del tempo, ci vorranno anni, ma cambierà il nostro modo di abitare.

La casa. Abitare dopo la pandemia: nuove funzioni per nuovi bisogniSono di quelle trasformazioni che piano piano modificheranno le modalità di essere e di relazionarci con lo spazio. L’uomo, qualche volta inconsapevolmente, si relaziona con la forma e il significato dello spazio e modifica le sue liturgie nei secoli, attraverso l’innesto di nuove funzioni dovute a nuovi bisogni.

Le pandemie sono state spesso portatrici di novità, come il colera nell’Europa dell’Ottocento; con le tecnologie, basti pensare alla nascita dei marciapiedi a copertura delle fognature e tanti altri esempi che costituiscono una ricca letteratura.

Questo avviene in Europa e nel resto del mondo e le cause sono spesso addebitabili a traumi causati dalla natura: malattie, uragani, terremoti, eruzioni, inondazioni e siccità. Certamente l’uomo in tutto questo ci mette del suo, ma oltre alle innovazioni tecnologiche – l’automobile, gli elettrodomestici, – il conflitto tra la natura e l’uomo modifica le regole d’ingaggio e modifica il significato dell’abitare. Cosa può succedere nell’immediato futuro? Cosa potrà cambiare nella nostra percezione di comfort domestico, per esempio? Al netto degli slogan del momento: tutti a vivere nei borghi, come saranno le case dei prossimi decenni?
La pandemia ha suggerito nuove e diverse esigenze o quanto meno ha determinato delle criticità che saranno oggetto di esplorazione da parte degli architetti per rispondere meglio alle nuove domande abitative.

Per farlo dobbiamo pensare alla casa come un organismo metabolico, flessibile e interconnesso. La casa è un diritto come l’acqua e l’aria e serve principalmente a curare, conservare e coltivare. Sono queste le tre categorie essenziali su cui serve indagare per modellare una pratica dell’abitare.

Curare, significa accudire il nostro corpo, le nostre funzioni primarie. Quelle necessità quotidiane e rituali che sostengono l’organismo rendendolo compatibile alla socializzazione.

La casa. Abitare dopo la pandemia: nuove funzioni per nuovi bisogniMangiare, pulirsi, allenarsi, riposare. Che tradotto in ambienti significa: cucina, bagno, palestra e camera da letto. Quale forma e quale dimensione avranno questi ambienti nell’ottica di un possibile isolamento?

Quali relazioni con l’esterno? La cucina sarà più piccola perché il cibo da asporto sarà più frequente? Più servizi igienici per meglio gestire le malattie?

Uno spazio interno-esterno per la ginnastica, magari con piccolo giardino- terrazzino di pertinenza? Più camere da letto, o comunque divisibili all’occorrenza?

Oggi l’architetto deve farsi queste domande.

L’eventuale spazio condominiale afferente sarà funzionale alla possibilità di gestire un’emergenza, come l’arrivo dell’autoambulanza. Per non dimenticare la digitalizzazione che potrebbe essere il futuro per la tele-medicina. La funzione “curare” diventa più complessa se pensiamo anche allo smaltimento dei rifiuti, ordinari e speciali e alla necessità della presenza del verde e della qualità del paesaggio visibile per curare la nostra mente.

Conservare, significa accumulare, fare provviste, fare magazzino.

La casa. Abitare dopo la pandemia: nuove funzioni per nuovi bisogniConservare cibi, vestiti, oggetti, ricordi, documenti. In pratica stiamo parlando delle librerie, degli armadi, dei frigoriferi, dei registratori, delle cantine, degli archivi. Una funzione indispensabile che sarà stravolta dalla digitalizzazione, dalla delocalizzazione, dallo scambio solidale.

Quasi costretti a selezionare quello che riteniamo veramente essenziale. Lo spazio per la conservazione, che si interconnetta con le altre funzioni – curare e coltivare – cambierà forma e dimensione.

Se non devo cucinare come prima non ho bisogno di un frigo troppo grande e nemmeno del congelatore, solo per fare un esempio estremo. Meno vestiti, meno scatoloni, meno cibo.

Meno spazio oppure spazi delocalizzati altrove, cantine, garage, depositi. Cambia il concetto di accumulo e qui saranno guai per quelli che vogliono tutto a portata di mano.

Una specie di ‘cloud’ degli oggetti fisici. Saranno potenziati i depositi condominiali o forse si creeranno servizi ad hoc in altri luoghi. In America avviene già da anni.

Coltivare, le passioni, i talenti, la nostra tensione verso l’arte, l’artigianato, l’informazione, la formazione, la socializzazione, il gioco.

La casa. Abitare dopo la pandemia: nuove funzioni per nuovi bisogniColtivare quella parte spirituale che vive dentro di noi. In fin dei conti coltivare la felicità.

Gli spazi per realizzare tutto questo sono quelli per la costruzione di oggetti, la terra da coltivare, un quadro da dipingere, un modello da costruire, il soggiorno dove guardare un film e leggere un libro. Lo spazio per giocare a carte e a monopoli.

La cappella per pregare, la parete con i quadri e le foto, la poltrona per ascoltare la musica o una finestra da cui guardare l’orizzonte mentre facciamo all’amore. Tutto questo serve per coltivare la nostra essenza divina, il nostro lato trascendente. Questi spazi saranno diversi, flessibili, proiettati verso i paesaggi.

La pandemia ci ha insegnato l’enorme utilità di questi ambienti, la necessità di qualità formale e figurale, la giusta scelta delle dimensioni, dei colori, delle altezze. I luoghi per coltivare l’anima sono il cuore della casa dove emerge la nostra umanità, il senso della famiglia.

Cenare, scherzare, ridere e piangere. Un megaron primordiale.

La casa ha bisogno, quindi, di un nuovo paradigma per soddisfare nuovi standard, dalla caverna all’estensione domotica dell’uomo oltre il proprio corpo.

La casa come organismo metabolico, modificabile in funzione di emergenze e necessità, coerente al proprio tempo e allo spazio culturale a cui afferisce. Connesso, utile, trascendente. La pandemia è una tempesta ma le reazioni dell’uomo una nuova opportunità, basta coglierle. Nei prossimi anni registreremo nuovi modelli, forme diverse dell’abitare, trasformazioni della città e delle relazioni che essa vuole intraprendere con la natura. Da una parte il recupero della topicità e dall’altra la corsa verso l’opposto. Dalla caverna alla stazione orbitante iper-igienizzata ma il progetto di architettura deve risolvere questa apparente contraddizione.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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