Comfort zone e paraculaggine: il mancato coraggio di dire ciò che si pensa

Comfort zone e paraculaggine: il mancato coraggio di dire ciò che si pensa

La nostra società, quella che corre velocemente e vive di competizioni estreme, in ogni campo, si difende dalle reazioni folli e dai conflitti sociali e personali creando i territori della tregua.

Comfort zone e paraculaggine: il mancato coraggio di dire ciò che si pensa Sono spazi certe volte esigui, altre volte sfrangiati o persino ampi ma pur sempre fragili e mutevoli. Sono necessari alla sopravvivenza della specie umana e ci permettono di vivere in una condizione di pace provvisoria. Vengono descritti in mille modi, anche negativamente ma sono essenziali. Sono tanti i temi che producono conflitti – sul piano dialettico e non solo – e in questi giorni sembrano emergere prepotentemente. Alcuni argomenti che diamo per scontato, nel senso che pensiamo che le valutazioni siano uniformi e condivise – per esempio il giudizio sui fascismi, sulla mafia, sui femminicidi, sul vaccino ecc. – al contrario sono oggetto di infinite varianti divergenti tutte più o meno argomentate, anche se sui contenuti di certe ipotesi ci sarebbe di che preoccuparsi.

Allora è facile vedere amici e conoscenti, colleghi e vicini di casa, cambiare discorso per non inciampare in una lite sullo stile “cavalleria rusticana”.

I social sono pieni di questi scontri – certe volte surreali – che mettono a dura prova i rapporti più consolidati. Esplodono quando meno te lo aspetti e diventano virali. Conosco colleghi di lavoro che non parlano di calcio per non fare emergere l’astio atavico tra tifoserie contrapposte. Fanno finta che il calcio non esista, al massimo solo quando si parla di Nazionale. Questo esempio, leggero e divertente, è la metafora di un comportamento diffuso che interessa moltissimi campi. Vogliamo esplorare quelli politici? Ci sono amici che potrebbero odiarsi se costretti a parlare e quindi ad argomentare sulle figure di Berlusconi o Renzi, sui loro pregi o difetti, sulle loro differenze politiche. Ovviamente a tutte le scale della politica esercitata. Si può andare d’amore e d’accordo con una collega ma non parliamo del sindaco, quello che governa adesso, si rischia l’improvviso ostracismo. Si lavora insieme, si scherza, si può persino andare a cena ma mai parlare del sindaco caro a uno dei due interlocutori.

Oppure ci sono amici-conoscenti comuni di cui non si deve nominare il nome, pena la scomunica di uno dei due.

Comfort zone e paraculaggine: il mancato coraggio di dire ciò che si pensaPossiamo continuare all’infinito. Una frase del ministro della transizione rischia di far esplodere un caso familiare, meglio tacere. Sul green pass si sta rischiando lo scontro fisico, meglio tacere. Cognati e parenti barricati dietro documenti segreti mai pubblicati che dimostrerebbero il complotto del secolo, allora meglio tacere, c’è da gestire i nipoti e la suocera, non conviene esasperare il conflitto.
Certo, alcuni argomenti si prestano. La politica, il calcio, il vaccino, i figli, Dio, la carbonara e la collega avvenente, la suocera (quello è un tema universale). Poi ci sono i grandi temi generali. Le guerre, i complotti, la borsa di Milano, la dieta, le medicine, i cibi sani e l’omeopatia. Ma su una cosa è meglio sorvolare. Mafia, fascismo-nazismo, maschilismo e femminicidi. Proprio dove tutto sembra scontato si annida il conflitto epico. Meglio tacere. O forse meglio non tacere.

Sì, perché è proprio questo desiderio di essere amico di tutti, di non litigare con nessuno, di accontentare sempre e ogni volta, in nome di una pace finta e ipocrita, in nome di una tranquillità funzionale. Si riconoscono “i buoni a tutti i costi” quando sono disponibili a elargire ragioni a buon mercato a ogni essere vivente. Insomma, tutti hanno ragione solo per evitare lo scontro, il dissapore, la perdita di gradimento. Allora si abita questo territorio di comfort zone, questo spazio del silenzio, dove non è necessario esprimere veramente la propria idea. Qualcuno la chiama “paraculaggine”, qualcuno opportunismo, altri furberia ma come la si voglia chiamare certe volte puzza.

Forse sarebbe utile ogni tanto dire con chiarezza cosa si pensa (però il prerequisito è possedere un proprio pensiero), anche a costo di sembrare poco simpatico. Sarebbe utile dire che non si condivide, che si dissente, che non c’è convergenza, senza per questo dover perdere amici e parenti. Siamo così abituati che, o si vince o si perde, che non siamo più disposti a perdere qualcosa o a prendere atto che le nostre idee non coincidono con quelle degli altri. Ma che figura ci faccio se non mi adeguo al pensiero dominante? Rischio l’isolamento. Conosco persone che vivono ai margini, solo per aver espresso un pensiero divergente dalla maggioranza. Isolati dai potenti e derisi per aver detto altro, qualcosa di diverso. A pochi ho visto dire: spiegami, forse non ho capito bene. Più spesso si sente: tu non hai capito nulla. Spesso misuriamo ogni cosa con il nostro unico metro o peggio ancora con il metro della collettività anestetizzata, quella che pur di non rompere gli schemi conferisce il merito della ragione a tutti.

Rischiamo qualche volta. Tuffiamoci nell’ignoto esplorando un territorio nuovo difficile da governare ma coerente, pulito.

Comfort zone e paraculaggine: il mancato coraggio di dire ciò che si pensaPerché non dire cosa siamo e cosa pensiamo? Perché non dire che certe cose non ci stanno bene, senza la paura di perdere qualcosa? Dobbiamo essere a tutti i costi simpatici? Dobbiamo essere i più amati tra gli italiani? In questi giorni sento dire spesso: quello è uno inclusivo, da tutti rispettato e riverito, lui (o lei) mette tutti d’accordo perché sta bene a tutti. E se fosse proprio questo il campanellino d’allarme. Se fosse proprio questo il limite che dobbiamo superare? Il rischio è che questa società premia – sempre di più – i piacioni, le cortigiane e i tappetini. Premia gli estortori di sentimenti, i ricattatori di consensi e le ballerine quelle che sorridono a tutti, mentre ballano sul palco di moda. Conviene parlare d’altro? Cambiamo discorso? Se continua così non avremo nulla di cui parlare perché qualunque tema diventa il pretesto per uno scontro senza fine. Meglio riabituarsi a parlare, parlarsi, confrontarsi e magari mettersi in discussione. Ma non regaliamo sorrisi solo per essere più accettati, ogni tanto usciamo dalla nostra comfort zone e diciamolo: mi hai rotto, urla da un’altra parte, quello che sostieni non mi appartiene, fattene una ragione. Ci vuole coraggio per tutto questo? No, solo un po’ di amore per se stessi.
Ovviamente, il prerequisito per esercitare la libertà di pensiero rimane quello di avere un pensiero. Avere un pensiero consapevole, sostenuto anche da pochi elementi documentali è una rarità, spesso abbiamo solo slogan da pubblicare, di quelli che alla fine stanno bene a tutti e ci fanno più simpatici agli occhi della gente o acquisiti a buon mercato nelle bancarelle delle idee. Io ho visto razzisti, fascisti e maschilisti (anche al femminile) frequentare tanta gente facendo finta di nulla, confondendosi senza pudore tra le ombre e le luci, magari recitando un rosario, pieni di condivisione sociale. Questi sono quelli che mi lasciano senza parole, loro e chi li rende tali.

Comfort zone e paraculaggine: il mancato coraggio di dire ciò che si pensa

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

1 Comment

  1. Complimenti per l’articolo pubblicato e condiviso dal caro Francesco Finocchiaro. Illustri con sagacia e profonda intelligenza un tema di antropologia sociale e culturale molto interessante. A corredo dello stesso volevo condividere il mio di pensiero. Oggi ritengo che la mancanza di coraggio, l’incapacita’ sempre piu’ evidente di dissociarsi dal pensiero comune, dominante, sia riconducibile all’assenza di Dio nella vita dell’uomo. L’uomo ha perso la dimensione spirituale, per questo si sente smarrito e si aggrappa, si uniforma a modelli ai quali forse neanche crede. Ritengo che ritrovare Dio nella nostra vita sia la chiave di lettura, la chiave per invertire le tendenze da allontare nella nostra vita…un abbraccio Francesco e grazie per lo spunto di riflessione che, a mio avviso,suggeriscono i tuoi articoli…buona domenica

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