Centrodestra, la Sicilia è il campo di battaglia. La Meloni sfida gli alleati: “Insieme o volete maggioranze arcobaleno?”

Centrodestra, la Sicilia è il campo di battaglia. La Meloni sfida gli alleati: “Insieme o volete maggioranze arcobaleno?”

Giorgia Meloni gioca d’anticipo e prepara il programma del governo che verrà.

E che se non sono cambiate le regole del centrodestra, spetta a chi ha più consensi, rammenta agli smemorati. Cioè toccherebbe a Fratelli d’Italia che i sondaggi mettono sul podio nazionale. La leader esporrà il programma nella convention di fine mese a Milano, la prima dalle europee del 2019, aperta a 4600 delegati ma non ai vertici di Lega e Forza Italia.

Del resto Meloni non vede Matteo Salvini da 3 mesi. Con Silvio Berlusconi «ci sentiamo», dice telegrafica. Nel frattempo li sfida: volete ancora vincere insieme o la scommessa è battere FdI? «Su questo ho segnali altalenanti», ammette parlando alla stampa nella sede storica di via della Scrofa. E insinua: «A volte sembra che si prenda in considerazione di riproporre maggioranze arcobaleno» sullo stile, insomma, di quella attuale allargata a Pd e 5 Stelle.

Non replica FI, sembra snobbarla la Lega. «Non c’è tempo per sterili polemiche», bacchetta Lorenzo Fontana, numero due del partito, che si smarca: «La Lega è da sempre impegnata per un centrodestra unito e di successo in Italia e in Europa». Concetto che Salvini fa suo spiegando che uniti e «con questa legge elettorale» si può vincere. Guardando al presente è meno dialogante Fontana: «Siamo dispiaciuti che FdI in diverse città non abbia ancora scelto di sostenere i candidati del centrodestra». Il vero campo di battaglia è la Sicilia dove FdI punta i piedi.

In attesa di un accordo a livello locale, che Meloni non esclude a priori anche se non vicinissimo, i patrioti guardano oltre e tentano lo sprint in vista delle elezioni politiche del 2023. «Noi ci faremo trovare pronti per una stagione di governo dell’Italia con contenuti, programmi e classe dirigente adeguata», spiega la leader. E non disdegna la semplificazione giornalistica che sia un `programma per Meloni premier´. «Tecnicamente è corretto». Per ora è il programma di un partito. «Poi quando sapremo qual è la legge elettorale, quale la coalizione con cui andiamo a governare, questo sarà il nostro contributo», aggiunge. Lo chiarirà alla conferenza programmatica di Milano, dal 29 aprile al primo maggio.

Nel breve nulla cambia per FdI. Neanche a livello europeo dove il partito assicura di non aver preso le distanze dal presidente ungherese Viktor Orban che ieri a Roma ha visto Salvini ma non Meloni. «Semplicemente prendo atto che nel partito europeo che presiedo – spiega la leader di Fdi – ci sono importanti nazioni dell’Est che sulla crisi ucraina hanno sensibilità diverse».

A livello nazionale Meloni non nega le «difficoltà» della coalizione ora, ma le interpreta come fuoco amico: «La nostra metà campo è sempre chiara e decisa», scandisce anche se pesa il silenzio calato tra lei e Matteo dal giorno della rielezione del presidente Mattarella. E pesano le manovre per le comunali di giugno. Le più contorte, appunto, in Sicilia.

Qui FdI si descrive come spettatrice delle mosse altrui: «A Messina Lega e FI avevano detto che sarebbero andati in ordine sparso. Poi hanno annunciato il ticket a Palermo senza che ne avessero discusso con noi, dicendoci in buona sostanza `Facciamo da soli´, è l’analisi della leader di destra. Quello che però non tollera è la `guerra´ degli alleati al governatore siciliano Nello Musumeci, vicino a FdI e pronto a ricandidarsi in autunno. Non solo perché «è un ottimo presidente», ma perché è uscente. «Normalmente quelli uscenti, che hanno ben lavorato, vengono ricandidati, perché questo sarebbe l’unico caso in cui non accade?», insiste Meloni che di fatto `tratta´ l’ok di Lega e FI a Musumeci con il suo appoggio a Francesco Cascio, il candidato degli alleati a cui per ora ancora sin contrappone la deputata FdI, Carolina Varchi. Cascio ha rinviato l’ufficializzazione della corsa a domenica, segno forse della trattativa in corso e degli «sforzi» che FdI rivendica. Ma per superarle, «bisogna essere in tre a volerlo», è l’amara conclusione.

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