Omicidio Calabresi, la vedova: “A 50 anni dall’omicidio ho recuperato un senso di pace. La fede è stata fondamentale”

Omicidio Calabresi, la vedova: “A 50 anni dall’omicidio ho recuperato un senso di pace. La fede è stata fondamentale”

“La fede è stata basilare. Così ho potuto restituire agli assassini la loro dignità di persone, è stata fondamentale per provocare la svolta dentro di me”.

Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, parla in un’intervista alla Stampa della capacità di recuperare un senso di pace per sé e per i figli di fronte alla tragedia dell’omicidio, 50 anni fa, del marito. Un uomo che Gemma sogna ancora, “siamo io e lui in un ristorante, a un certo punto si sente come un’esplosione, io salto in piedi e grido: ‘Usciamo, usciamo’. Sono spaventata, ma lui mi dice: ‘Calmati, stai tranquilla, non è successo niente’. Era il suo modo di tenermi serena. Ma nell’immagine successiva del sogno io sono fuori dal ristorante, da sola, arriva un’altra esplosione e io capisco che lui è morto perché non è uscito”.

Ci sono anche altri sogni nelle notti di Gemma, nei quali lei e il marito sono ancora giovani:

“All’inizio questi sogni erano disperati, mi svegliavo con il fiatone, con la tristezza, con il magone. Piano, piano è un po’ come se ci avessi fatto pace e ora mi piace fare questi sogni perché così lo vedo. Ed è come se lo ritrovassi”. Così come la moglie ritrova, ogni 17 maggio, il momento dell’assassinio del marito: “Al mattino di questo giorno guardo l’ora, chiudo gli occhi e dico: ‘Ecco, adesso’”.

È venuto da me, aveva la sua giacca nera, i pantaloni grigi, ma prima di uscire si era cambiato la cravatta. Ne aveva una rosa di seta, ne ha messa una di lana bianca. E mi ha chiesto: ‘Come sto, così?’ Io gli ho risposto: ‘Bene, ma stavi bene anche prima’. E lui mi ha detto: ‘Sì, ma questo è il simbolo della mia purezza’. E queste sono le ultime parole che mi ha detto. In quel momento sono rimasta spiazzata, ma non ho fatto a tempo a chiedergli perché mi diceva quello o che senso aveva. Lui era eternamente in ritardo ed era già uscito. Dopo ho capito: era il suo testamento. Come se avesse voluto dirmi: continueranno a calunniarmi, ma sappi che io sono puro e sono innocente”.

Gemma Calabresi parla dell’incontro con la vedova dell’anarchico Pino Pinelli, il 9 maggio del 2009, precipitato dalla finestra dell’ufficio del marito pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana:

“Io pensavo che anche in quella casa il papà non era rientrato: chi più di noi due poteva capire l’altra? Eravamo unite dallo stesso dolore. Ci siamo guardate negli occhi, ci siamo date la mano, ci siamo abbracciate. Io le ho detto: ‘Finalmente’. E lei mi ha risposto: ‘Peccato non averlo fatto prima’”. Poi racconta anche della pace che ha trovato soltanto dopo molto tempo: “Immaginavo che un giorno qualcuno a un certo punto si sarebbe vantato: ‘Ho ucciso io Calabresi’. Avrei estratto la pistola che avevo nascosto nella borsa e gli avrei sparato. Nel dolore e nella vendetta non si può stare bene. In realtà si sta malissimo. Oggi me ne vergogno molto. Ma dopo un dolore lacerante si può risalire e si può tornare ad amare la vita, si può cambiare il giudizio sulle persone che vedevi solo come male e si può essere ancora felici. Penso che si possa perdonare anche da un punto di vista umano. Ma io ho talmente fede che penso che anche quando uno mi dice che ha dato un perdono laico, dietro c’è il buon Dio che ci guida ed è sempre vicino a noi. Per me la fede è stata fondamentale. Dare il perdono ti dà la pace, ti rende libero”.

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