Il Principe mancante: a Paternò (forse) non ha vinto nessuno

Il Principe mancante: a Paternò (forse) non ha vinto nessuno

Chi ha vinto veramente le recenti elezioni amministrative a Paternò?

C’è uno strano silenzio che rende tutto surreale. Un’atmosfera sobria, sottomessa, come se tutto fosse sospeso da chissà quale possibile colpo di scena. Magari sotto traccia qualcuno si compiace del risultato ottenuto, altri meno, ma tutto sottovoce. Come se non ci fossero state le elezioni e una campagna elettorale da tutti gli osservatori definita anomala.

Silvio Berlusconi recentemente ha dichiarato “se più del 40% degli elettori non va a votare, nessuno può dire di avere vinto, bisogna ammettere che la politica ha perso”. È la sintesi perfetta di questo momento politico che non riguarda solo la comunità locale ma l’intero Paese Italia.

Molti politologi lo hanno detto più volte:

si è rotto il patto tra gli elettori e i loro rappresentati. Nessuno rappresenta nessuno, e dopo la catastrofe dell’uno vale uno, anche questo paradigma sembra essersi consolidato negativamente. C’è ancora chi parla di ideologie e di geopolitica come alcune frangie della sinistra e della destra, poi ci sono i centristi convulsivi, quelle che sperano nel ritorno della grande balena e ad ogni elezione prendono una sonora batosta, come se bastasse evocare gli antenati per tornare a raccogliere consensi, ma vale per ogni lato del campo.

Fin qui filosofia direbbe l’uomo seduto al bar, ma nella sostanza cosa sta succedendo? Proviamo a fare una sintesi. A Paternò le ideologie sono sepolte da tempo e quindi le proposte ideologizzate sono polverizzate, come quelle delle sinistre (arcipelago di amici e famiglie senza fissa dimora politica). Le famiglie, anche questo un tema delicato. Questa città ancora si divide per famiglie, affiliati alla famiglie, fedeli alla famiglie, ecc.. Nel senso che questa strutturazione è saltata da molto tempo e l’elettore non è più affezionato a queste categorie.

Le proposte di candidature a sindaco non sono state percepite come differenti, in pratica per difetto di comunicazione o per fragilità delle stesse non hanno convinto l’elettore che ha immaginato uno scenario statico. Nulla cambia, nulla è veramente diverso. Eppure una delle tre candidature si presentava alternativa ma si vede che cosi non è stata percepita. Forse gli uomini e le donne messi in campo erano troppo “vicini” tra loro. Troppo coinvolti nel passato e nel presente con le dinamiche lobbistiche. Insomma non ha convinto l’elettore indeciso. I personaggi e la loro coerenza fanno la differenza ma non illudiamoci, la questione è più complessa, abbiamo capito che non basta..

Se osserviamo i grandi portatori di voti possiamo notare che hanno vinto i CAF, cioè quelle agenzie disseminate in città che “ascoltano” la gente comune, aiutandola nelle piccole incombenze: disoccupazione, reddito di cittadinanza, buoni pasto, sgravi fiscali, certificati e autocertificazioni, assistenza alla pensione, ecc. La gente ha prima di tutto bisogno di questo, della sopravvivenza, delle cose pratiche. L’acropoli, gli impianti sportivi, la metropolitana, la cultura, le aree industriali e il piano di protezione civile sono percepirti come questioni futili.

Vediamo alcuni numeri.

1abitante su 4 ha scelto Nino Naso, in pratica il 25% dell’elettorato. È bastato questo per la sua elezione. Alfio Virgolini è arrivato cosi vicino che sembrava possibile il ballottaggio ma non è bastato, la sua proposta era strutturata ma in qualche tratto coincidente con quella di Nino Naso, almeno del DNA. Maria Grazia Pannitteri dichiarava di essere un’altra storia, ma chi le ha creduto? In pochi. Tra l’altro era sostenuta da una coalizione ibrida, essenziale e ideologizzata (caratteristica poco gradita all’elettorato).
Poi il grande vincitore, quelli che al bar dichiaravano di non volere un governo di continuità, quelli che volevano un cambiamento, quelli che guardavano con scetticismo ogni proposta politica e non sono andati a votare. Per questo in città c’era la sensazione del possibile ballottaggio, perché le opinioni erano la somma degli astensionisti più la quota Virgolini e Pannitteri che costituisco insieme, quasi 3 abitanti su 4 quindi il 70-75% dell’elettorato. Nino Naso è il candidato che per un tecnicismo elettorale (in Italia si sarebbe andati al ballottaggio) è stato eletto sindaco della città di Paternò. Credo che lui lo sappia e infatti ha subito aperto alle opposizioni. Perché il dato elettorale relativo ai consiglieri comunali è più attendibile per definire le vere forze in campo.

Certamente la difficoltà di andare a votare, registrata da molti osservatori come quello che qualcuno definisce il “caos organizzato” (interruzione della fornitura elettrica a le tessere elettorali misteriose) ha assottigliato l’elettore insoddisfatto che puntava al cambiamento. Ma anche la difficolto a comunicare è stata determinante, i social sono stati sopravvalutati e i CAF erano presenti in maniera capillare. Le proposte – per tante ragioni – potevano sembrare simili. Incagliate nei conflitti d’interessi, nelle rendite di attesa, nelle promiscuità storiche tra le parti (professioni, amministrazione, imprenditoria, associazionismo). Bisogna avere il coraggio di ammetterlo.

Pochi hanno colto che, tra Covid e guerra, la gente ha pensato ad altro e le dispute familiari, culturali e politiche non erano nella loro agenda, non erano una priorità. Hanno scelto di non votare (per scetticismo), di confermare (forse per tifoseria), di scommettere su qualcosa di nuovo (ma senza enfasi).

È mancato il dualismo puro, la contrapposizione di due modelli chiari. Magari per colpa di una campagna elettorale frettolosa e dell’ultimo momento. Bisogna farsene una ragione. Uno delle gravi patologie della politica è la mancanza di autocritica, come se fosse una vergogna ammettere gli errori e le sconfitte. Nino Naso ha vinto (abbiamo spigato come e perché) e gli altri hanno perso. Il 25% della città ha scelto di continuare con lo stesso programma politico degli ultimi anni.

In questi giorni spuntano vecchi articoli di giornale da dove si evidenzia che nulla è cambiato da trent’anni a questa parte. Oppure “nobili” elenchi di possibili saggi che possano far rinascere la città. Ma mi chiedo se questa è la soluzione e se cercare una ricetta sia la strada giusta. Non credo alla bacchette magiche ma alle lente trasformazioni. I consiglieri comunali sono già in una nuova fase, quella della trasmigrazione e non la critico perché – privati delle ideologie – non capisco perché dovrebbero restare fermi nelle posizioni di partenza.

Naso ha il diritto-dovere di governare e trovare una nuova configurazione consiliare. Alfio Virgolini ha l’opportunità di proseguire un percorso politico avviato in questi mesi ma deve capire se vuole “crescere” oppure solo resistere. Maria Grazia Pannitteri può ricostruire un’area politico-culturale ma deve fare chiarezza, deve sfoltire le frange e i cespugli, deve rischiare, diventando un interlocutore aperto. Il prossimo sindaco di questa città deve partire adesso e non aspettare cinque anni.
Difficile dire se le categorie classiche di destra sinistra e centro possono ancora funzionare ma sull’esigenza di ricucire i tre livelli presenti in città non ci sono dubbi. La quota di popolazione che gravita attorno ai CAF, il sottile strato di intellettuali che serve, ma spesso si trova ai margini dei processi che contano e poi l’élite di governo (politici, imprenditori, dirigenti, lobbisti, ecc.) che sembra rimasta chiusa nel palazzo (cerchio magico) anche se crede di essere popolare.

Questi tre livelli devono riconnettersi, scambiarsi risorse e saperi, magari ripristinando connessioni più produttive con l’esterno (provincia, regione, nazione). Serve un Principe, un catalizzatore di questo processo. Ad oggi, in molti, hanno lavorato per non far emergere questa figura, come se l’obiettivo fosse quello di impedire la nascita di nuove gerarchie; ma non è più possibile aspettare. I tre livelli devo essere coordinati da una o più figure politiche che sappiano relazionarsi con tutte le parti che rappresentano la società. Non serve solo una riconciliazione ma un programma politico proiettato nel tempo che punti sulle questioni afferenti alla città reale. Acqua, energia, rifiuti, mobilità, servizi, lavoro, sicurezza, innovazione, digitalizzazione, rigenerazione e programmazione. Se non si affrontano queste emergenze alla prossima elezione ci saranno solo i CAF a candidarsi.

Ma allora chi ha vinto veramente? Forse hanno vinto solo quelli che volevano che nessuno vincesse per adesso. Ora in vista delle elezioni regionali serve una strategia e non l’ennesima svendita delle risorse interne, quel mercato dei consensi che ci vede come sempre un grande magazzino. Vogliamo puntare sulle risorse interne?
Oppure non ci resta che rimanere un piccolo centro feudale nella mani dei “massarioti” ma non quelli di una volta che riferivano al nobilotto catanese scambiandosi le idee, quelli che oggi leggono solo i “pizzini” ricevuti da sotto la porta di casa, senza nemmeno vedere il mittente. Chissà che fine faranno le promesse fatte in campagna elettorale.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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