L’acqua che non c’è: cosa si può fare a Paternò. La risposta all’emergenza deve essere locale

L’acqua che non c’è: cosa si può fare a Paternò. La risposta all’emergenza deve essere locale

Le notizie di questi giorni sono drammatiche, l’emergenza idrica ed energetica sono il tema più caldo dell’estate.

Il Po sembra che stia diventando un torrente, piove poco, i ghiacciai si stanno sciogliendo, la nostra dipendenza energetica è preoccupante. Ci siamo appena svegliati da un incubo – il covid – e ne troviamo altri pronti a lacerare le nostre certezze come la guerra in Ucraina. Lo scacchiere internazionale e la globalizzazione ci presentano il conto ed è salato. L’inflazione è alle stelle, il prezzo dei prodotti essenziali sale vertiginosamente e sembriamo entranti in un frullatore.
C’erano altre guerre in giro, ma questa, dietro la nostra porta di casa, sta evidenziando la fragilità dei nostri sistemi politici ed economici. La gente si chiede cosa fare?

Cosa succede a casa nostra? Cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo? Aspettiamo gli eventi o immaginiamo una strategia; un piano B per esempio. Stiamo parlando di temi afferenti alla macro scala ma possiamo immaginare uno scenario strategico locale? Proviamo a fare alcune riflessioni.

Il nostro territorio è ricco di acqua.

L’Etna, il Simeto e l’Alcantara sono le tre fonti idriche più importanti del sistema idrografico etneo. La città di Paternò ha un sottosuolo ricco di sorgenti e le acque del fiume Simeto sono essenziali per l’agricoltura. Non manca nulla ma le campagne sono in crisi (il costo di produzione agricola lievita) e la città riceve l’acqua a singhiozzo. Non basta, molti dei pozzi che forniscono l’acqua all’azienda idrica comunale (AMA) sono privati e le tubature obsolete. Perdite, sprechi e costi alti per la collettività. Alcuni quartieri come quello di Scala Vecchia-San Biagio lamentano una crisi idrica ormai secolare e strutturale, ma il resto della città non sta meglio. La rete comunale non è neppure completamente mappata, e per questo la manutenzione delle reti non sarà facile per gli operai dell’azienda. Molti anni fa la gente dai paesi vicini veniva a Paternò per prendere l’acqua frizzantina dalle fontanelle, sembra tutto finito.

Oggi bisognerebbe puntare su alcuni obiettivi.

L’acqua che non c’è: cosa si può fare a Paternò. La risposta all’emergenza deve essere localeQualità e sicurezza dell’acqua; accessibilità e disponibilità; razionalità e sostenibilità del sistema idrico. L’oro blu non sarà sempre disponibile e già adesso registriamo le carenze del sistema. Bisogna mappare, riparare, conservare, razionalizzare, ottimizzare. Il compito è dell’AMA di Paternò e le recenti prese di pozione del comune di Bronte – sul tema dell’acqua – ci sembrano una strada percorribile (ha puntato sull’acqua pubblica). Qualche anno fa l’attuale direttore del Genio Civile di Catania. l’ing. Gaetano Laudani – allora nelle sue funzioni di Presidente dell’AMA – promuoveva questo approccio ma poi dovette andare via e tutto si arenò. Sull’acqua andrebbe fatto un approfondimento e magari recepire fondi PNRR per innovare le reti, i pozzi ecc.

Bisognerebbe incentivare anche la cultura del riciclo delle acque domestiche e industriali e dare certezza ai cittadini sull’efficacia del depuratore comunale e non solo, anche quello dei comuni a monte di Paternò. Il Simeto sembra una fogna. L’acqua è una priorità, una necessità. Riguarda il comprensorio ma prima di tutto il singolo utente. Se non vogliamo tra qualche anno assistere alle scene di razionamento che stanno devastando tutto il nord Italia. Il Simeto deve essere curato adesso, le regimentazioni, i pozzi abusivi, la mancata manutenzione degli invasi sono un cancro che prima o poi diventerà metastasi.

Serve una politica sulle acque che veda impegnati tutte le forze in campo a partire dall’AMA fino agli organi regionali.

Non si può sottovalutare e bisogna lavorare da subito. Una buona cosa sarebbe per esempio riattivare le fontanelle pubbliche, mettere in opera nelle scuole e vicino gli edifici pubblici le “case dell’acqua”. Una città che aveva solo nella via principale più di venti sorgenti e innumerevoli fontane e fontanelle oggi sembra quasi un deserto e in questi giorni di calura si sente la mancanza dell’acqua. Poi spegniamo persino le fontane pubbliche e tutto sembra morto.

Due sono le priorità, per attutire gli effetti dei cambiamenti climatici, pensare all’acqua e agli alberi.

Abbiamo tanti terreni pubblici abbandonati e un istituto professionale agrario sempre disponibile a fare qualcosa. Solo attraverso un investimento massiccio sul piano culturale, finanziario e politico si può immaginare una possibile via di fuga. L’AMA potrebbe, come prefigurava Gaetano Laudani, diventare quella società pubblica che si intesta questo programma innovativo e complessivo per migliorare la qualità della città e del suo territorio. Acqua, verde pubblico e manutenzioni anche usando le risorse del reddito di cittadinanza.

Premialità per chi riesce a risparmiare, per chi realizza cisterne di accumulo delle acque grigie riusandole per gli orti. Un programma che renda reddituale persino le fognature, attraverso moderni sistemi che generano energia. L’AMA potrebbe diventare un hub virtuoso dove è possibile fare ricerca e innovazione a partire dalle cose semplici: l’acqua per tutti. Questa città ha una tradizione che affonda le sue radici nell’antichità, basta ricordare. Acqua e alberi. Bisogna piantare alberi in quantità esponenziale non uno ogni tanto per farsi le foto. Con le case dell’acqua riusciamo anche a combattere l’uso della plastica e magari mettiamo in campo delle macchinette per trasformare in buoni spesa, i rifiuti: alluminio, plastica, vetro e cartone; magari così siamo tutti più stimolati a sporcare di meno. Credo che l’AMA sia il soggetto giusto per far ripartire la qualità ambientale in città.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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