Catania, la Madonna dell’Itria e altri 25 gioielli siciliani: fino al 4 dicembre la mostra dedicata all’opera di Sofonisba Anguissola

Catania, la Madonna dell’Itria e altri 25 gioielli siciliani: fino al 4 dicembre la mostra dedicata all’opera di Sofonisba Anguissola

Quando il culto bizantino della Madonna dell’Itria comincia a diffondersi nel Meridione d’Italia e riveste in Sicilia caratteri propri ed esclusivi, l’isola non è più territorio di Costantinopoli.

Nondimeno la devozione cristiana, alimentata dallo spirito delle Crociate ancora vivo, ha accolto con uno slancio senza pari la «Madonna di Costantinopoli»: che si attesta, pur con significative varianti rispetto all’icona originaria, a partire dalla cattedrale di Agrigento e da un convento di Sciacca per poi dare il nome a decine di chiese e monasteri disseminati in tutta l’isola, in particolare nel Valdemone, e giungere infine per assumere il titolo di patrona della Sicilia.

La Madonna diventa «odigitria» e quindi «Itria» per corruzione del termine «hodigoi», i portatori costantinopolitani che officiano le processioni rigorosamente del martedì fino a quando nel 1453 gli Ottomani conquistano la capitale e distruggono la sacra icona, voluta dalla tradizione come opera di San Luca. Non si hanno prove, ma è possibile che il culto dell’Odigitria («colei che indica la via») sia penetrato in Sicilia a seguito dell’arrivo dei monaci basiliani (più propensi a insediarsi in territorio straniero che nell’Italia continentale) e in concomitanza con le spedizioni di riconquista del Sepolcro, quando la Madonna Odigitria è accostata – volendo fare spazio a suggestioni storiche recidivanti – alla Madonna Nera, tipo verso il quale è documentata la devozione dei Cavalieri templari.

Alla Madonna dell’Itria è dedicata la splendida mostra allestita al Museo diocesano di Catania, che fino al 4 dicembre offre (oltre a un catalogo che vale da solo la visita per la ricchezza dei contenuti) circa venticinque opere provenienti prevalentemente da chiese e musei siciliani. Benché non si abbiano in catalogo concessioni a implicazioni esoteriche, rimane tuttavia intatto il fascino per un’iconografia gravida di mistero e interrogativi, a cominciare dal modello canonico della Madonna con il Bambino sul braccio sinistro indicato con un dito a designare il Salvatore: a Costantinopoli la figura celeste era rappresentata a mezzo busto mentre, arrivata in Italia sull’onda della leggenda secondo cui l’icona fu salvata dai Turchi e portata via in una cassa (tradizione consolidata soprattutto in Sicilia), è apparsa sulle prime, come nel caso di Agrigento e Sciacca, posta su una nube o un arcobaleno, con la croce al posto degli «hodigoi», ma successivamente ha assunto l’aspetto della Madonna in maestà, ovvero seduta in trono, via via che la leggenda si è andata consolidando, con la particolarità che invece del trono regale si è imposta appunto una cassa sorretta da due basiliani (i cosiddetti «calogeri»). Eppero’ in molti casi l’Odigitria ha assunto il tipo della Platytera («Madonna del segno») con il Bambino in piedi sulle gambe o anche della Madonna orante con il Bambino dentro una mandorla in grembo. L’iconografia è sempre la stessa, quella di «un tipo iconografico – scrive nel catalogo Michele Bacci – che non sembra aver paralleli, nel tardo Medioevo, al di fuori dell’isola». Seppure nato, secondo alcune fonti, addirittura nell’XI secolo, innanzitutto in Calabria, il culto dell’Odigitria si afferma in Sicilia appunto nel Cinquecento. Ed è proprio nella seconda metà del secolo che appare sulla scena artistica siciliana la cremonese Sofonisba Anguissola, andata in sposa a un nobiluomo che la ospita a Paterno’, dove la pittrice muta la sua vocazione per i ritratti, rivelata alla corte di Spagna dove è stata educata, in una infatuazione per la Madonna Odigitria.

Non se ne saprà nulla fino al 1995 quando un critico d’arte catanese, Alfio Nicotra, le attribuisce un omonimo dipinto da lei donato alla chiesa paternese della Santissima Annunziata e nel 2018 divenuto oggetto di restauro (insieme con un’altra tela della Anguissola, la Madonna della Raccomandata, conservata anch’essa a Paternò, nella chiesa di Santa Maria dell’Alto) a spese del Museo civico «Ala Punzone» di Cremona. La città natale di Sofonisba ha voluto presentare il dipinto restaurato in una mostra tenuta da aprile ad agosto scorsi e promossa insieme con il Museo diocesano di Catania e la Regione Siciliana. Il soggetto della grande tela è diventato dunque il tema della mostra, per modo che il titolo è stato concepito in una endiadi: «Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria. Il culto dell’Hodighitria in Sicilia dal Medioevo all’età moderna».

Dice all’AGI il curatore, Mario Marubbi del Museo civico cremonese: «Abbiamo voluto rendere un omaggio alla nostra concittadina mettendola in relazione con l’evoluzione del tipo di Madonna Odigitria che invale nel Medioevo in particolare siciliano. Rispetto alla rassegna cremonese, in quella catanese mancano due opere, una genovese e l’altra mantovana, la cui specificità lombarda era data a Cremona dalla committenza». In compenso nella mostra in corso a Catania è presente un ritratto di uomo che si suppone sia quello di Fabrizio Moncada, marito di Sofonisba, la quale ha avuto attribuita l’opera, quando però è ormai prevalente la tesi che riconduce a El Greco.

Altra questione, non ancora risolta, quella della collaborazione che sarebbe stata prestata a Sofonisba nel realizzare la sua Odigitria, tema che comprova il legame che in pochi anni la pittrice lombarda cresciuta a Madrid aveva stabilito con la Sicilia. Sarebbe stata del marito la mano che tratteggia gli angioletti incoronanti e il fondo montuoso non del tutto riuscito? Oppure la pittrice si sarebbe fatta aiutare dal messinese Deodato Guinaccia, che andava a trovare nel capoluogo peloritano o ospitava a Paterno’? Sua potrebbe essere per esempio la presenza di un braccio di mare, idea più vicina a un messinese che non a una forestiera residente nell’entroterra. Interrogativi che tuttavia non escludono un merito interamente di Sofonisba e che comunque riguardano dettagli dell’opera e non il suo concepimento. Nel quale troneggia una grande cassa condotta da due barbuti calogeri e si coglie un particolare dissonante: la Madonna non indica il Bambino ma lo sorregge con entrambe le braccia per tenerlo fermo, giacché sembra dimenarsi. Il tipo costituisce una variante rispetto alle tante Odigitrie – dalla Eleusa alla Glicofilusa alla Pelagonitissa – e soprattutto un segno personale e originale dell’artista che sarà compito delle future ricerche indagare. (AGI)

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