Mondiali, per il Qatar sogno svanito in appena 6 giorni: i petrodollari non fanno la differenza

Mondiali, per il Qatar sogno svanito in appena 6 giorni: i petrodollari non fanno la differenza

Quando i petrodollari non bastano a fare la differenza e a cambiare la storia.

Il Mondiale del Qatar, Paese organizzatore dalle infinite risorse economiche, è già ai titoli di coda lasciando sull’erba di Doha una profonda scia di delusione. Dopo 12 anni di reclutamento (da quando fu assegnato il Mondiale), investimenti `monstre´ senza limiti di spesa e una serie di studi scientifici per costruire una squadra che assomigliasse ad una multinazionale, il sogno è svanito in appena sei giorni. Due sconfitte in rapida sequenza, contro Ecuador e Senegal, certificano il flop della squadra allenata dal catalano di Barcellona, Felix Sanchez, 46 anni, cresciuto come tecnico alla Masia, che paga la scarsa attitudine dei suoi giocatori a disputare partite internazionali e a subire la pressione. E il pari tra Olanda ed Ecuador, che salgono a quota 4 con i qatarioti fermi ancora a 0, certifica anche matematicamente l’eliminazione.

Poco gioco, poche idee, tanti errori (clamoroso quello che ha favorito il primo gol del Senegal) e una inesperienza collettiva, sono tutti fattori che alla fine hanno pesato sul risultato finale. Il Qatar raggiunge così il Sudafrica nel triste primato di nazionale del Paese ospitante eliminata al primo turno. Dal 2010 al 2022 la storia si ripete. Per cercare di dare una spinta in più al nuovo tecnico la federazione qatariota ha allentato le proprie maglie concedendo facilmente passaporti e naturalizzazioni a tanti atleti mediorientali, africani ed europei.

L’obiettivo era quello di creare una squadra brillante, che giocasse con fantasia e spirito propositivo, con tanta voglia di stupire. Nulla di tutto questo si è visto nelle prime due partite. La prima gara è stata un vuoto assoluto, di schemi di gioco, ardore tattico e coraggio. Il ct Sanchez dopo il ko contro l’Ecuador parlò di tensione emotiva per spiegare il passo falso promettendo nella seconda gara una giusta reazione. Ma contro il Senegal, a parte qualche spunto nella ripresa, c’è stata solo tanta volontà ma poca competitività. Nell’ambiente qatariota c’era grande attesa e nessuno fino all’ultimo voleva respirare aria di rassegnazione. Circa quattro anni fa questa stessa nazionale diventata campione d’Asia (superando in finale il Giappone 3-1 ad Abu Dhabi) si è dissolta, piegata dalla volontà di creare un nuovo miracolo calcistico. I petrodollari però non hanno fatto il miracolo. E il calcio si è in qualche modo ripreso il suo spazio originario e la sua stessa filosofia, quella di essere un gioco povero, semplice dove a fare la differenza vera è solo il talento dei singoli applicato al collettivo.

Il Qatar negli ultimi anni ha forgiato gran parte dei suoi giocatori attraverso l’Aspire Academy, cittadella di vetro nel deserto dove gli emiri hanno lavorato per affinare il campione. La `missione´ è andata male e l’uscita di scena, dopo la gara d’esordio, era nell’aria. «Spero che il progetto vada avanti anche dopo il Senegal» aveva dichiarato Sanchez mettendo in conto la possibilità di una eliminazione al primo turno. E il flop del Qatar ricorda i tentativi andati a vuoto in Champions del Psg, di proprietà di Nasser Al-Khelaifi, esponente emiratino della famiglia reale, che ha investito molti soldi, tra cui i 222 milioni per Neymar, alzando il monte stipendi per ingaggiare campioni come Lionel Messi, Kylian Mbappé, Gigio Donnarumma. Una specie di dream team sulla carta imbattibile. Ancora però a caccia della Coppa dalle grandi orecchie.

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