“La voce del padrone” di Battiato: un documentario celebra i 40 anni del capolavoro musicale

“La voce del padrone” di Battiato: un documentario celebra i 40 anni del capolavoro musicale

Sono passati 40 anni da quando uscì uno dei dischi più importanti della musica leggera italiana: `La voce del padrone´ di Franco Battiato.

In occasione di questo anniversario il giornalista e regista Marco Spagnoli ha realizzato un documentario, in sala fino al 4 dicembre sul cantautore catanese e sul disco del 1982 con il quale l’artista, che a Milano sperimentava musica elettronica, riscosse un enorme successo diventando il primo disco italiano a raggiungere il milione di copie vendute. Un pellegrinaggio sentimentale da Milano a Milo, tra i ricordi di chi con Battiato ha lavorato e vissuto, da Caterina Caselli a Morgan, da Carmen Consoli a Eugenio Finardi. Voce narrante il produttore Stefano Senardi, che dell’artista fu amico. A firmare la regia, Marco Spagnoli, che così racconta ad AGI, dopo l’anteprima di domenica 27 novembre. «Sono stato parte di quel milione di persone che acquistarono la cassetta de `La voce del padrone´. L’idea di un documentario su Battiato era in diversi progetti, ma era stata accantonata durante i suoi ultimi anni – spiega Spagnoli – l’ho incontrato, ma mentirei se mi definissi amico: ero un fan, e nei suoi ultimi anni meno sapevo meglio stavo, troppo era il dolore nel saperlo malato. Ora che cadono i quarant’anni dall’uscita di `La voce del padrone´ era giusto ricordarlo con un tono lieve e profondo come era lui, restituendo con rispetto il suo modo di vivere un contesto storico che era quello della lotta armata, dei primi anni ’80».

Nel documentario `Franco Battiato – La voce del padrone´ non emerge molto del contesto, si parla più della persona e della ricerca artistica.

«È uno spartiacque: in un racconto personale l’emblema di un’epoca, una carriera sperimentale – risponde Spagnoli – quel disco nel 1982 era ovunque: ci siamo concentrati sull’elemento più personale e intimo, senza presumere. Alla presentazione c’era il fratello: avevo paura non lo riconoscesse. Si è commosso». Questo racconto si costruisce con memorie. A chi appartengono? «Abbiamo contattato chi gli stava vicino: alcuni non vogliono parlare, altri si aprono – spiega il regista – in questo Morgan è stato sorprendente: nel ricordo e nella conoscenza musicale dà il suo meglio. Lasciando libertà agli intervistati, il racconto si apre.

Anche fisicamente:

quando da Milano si arriva a Milo l’inquadratura si amplia, entra l’Etna, il mare – aggiunge – volevamo che lo spettatore si sentisse cambiato». È il percorso che ha fatto Battiato, tornando a Catania da dove era partito per andare a Milano e per conquistarsi un posto indelebile nella storia della musica italiana. «Non sono tante le persone che hanno completato il percorso tornando a invecchiare lì dove sono partite, Battiato sì – spiega Spagnoli – e non potevamo non raccontare questo viaggio che è anche spirituale. C’è un grande assente, il filosofo Manlio Sgalambro. Manca perché essendo scomparso non potevamo lavorare sull’intimità del loro rapporto, e perché la collaborazione con lui inizia dopo `La voce del Padrone´ – precisa – la sua mano però c’è, perché è con `La cura´, scritta con lui, che si chiude il lavoro. È una storia d’amore, e apre una domanda: chi ama chi?». Caterina Caselli ipotizza che sia dedicata alla propria anima: «e io avrò cura di me…». «Non avevo mai pensato che potesse essere rivolta a se stesso. Quasi una lettera d’amore alla parte spirituale di sé», commenta il regista. C’è una grande apertura spirituale: Mara Maionchi lo definisce un angelo, e Corrado Fortuna dice che ogni esperienza riguardante Battiato aveva qualcosa di ulteriore. «L’hanno detto in tanti, ma non volevamo diventasse un racconto agiografico, proprio per la sobrietà cui ci ha abituati – dice Spagnoli all’AGI – intervistiamo la sua guida spirituale, padre Bormolini, e Juri Camisasca, che ne raccontano la spiritualità, non legata a una sola confessione».

Tra gli intervistati c’è Alice, sulla quale i gossip ipotizzavano una storia con il cantautore catanese.

«Non c’è un alone di mistero sulla vita sentimentale di Battiato, ma di riserbo – spiega il regista – era se stesso: cerchiamo delle categorie a noi vicine, che ci dicano chi amiamo, ma che a lui non appartenevano. Chi lo ha conosciuto non si pone la domanda. Può aver avuto degli amori, donne o uomini, ma non è il dato centrale». Secondo il regista l’enorme successo di `La voce del padrone´, un disco originale, `colto´ e non facilissimo all’ascolto è dovuto alla capacità di Battiato di «raggiungere il grande pubblico rimanendo fedele a se stesso: non credo sia possibile rendersi conto del successo mentre cavalchi la tigre – aggiunge – né so quanto sia stato programmato. Ha marcato un’evoluzione, con grande studio. Pino Pinaxa mostra il metodo di registrazione delle quattro voci in Centro di gravità permanente: è evidente il genio». Nel film c’è poi un ricordo molto commovente, ricco di sentimento, quello di Vincenzo Mollica.

«È una delle chiavi fondanti, commovente: dice cose che solo un vero amico conosce – spiega – ha tirato fuori quel tema del `suono´, che era la traccia che Franco voleva lasciare di sé. Così ho cercato il video negli archivi». Dopo aver realizzato il documentario, Marco Spagnoli si dice convinto che Franco Battiato non ha lasciato un erede, «ma ha influenzato la vita di molti. Il lascito è l’esempio del suo lavoro, di un artista curioso, ironico e colto, impegnato e disimpegnato – aggiunge – il suo modo di essere senza eccessi né forzature. Il suo essere figlio di una sintesi: l’andata e ritorno Catania-Milano, il voler tornare sfatando i luoghi comuni, mostrando di essere perfettamente integrato in entrambi i mondi. Nella sua poetica c’è una contaminazione di tutto, dagli arancini alle influenze arabe. Anche l’essere siciliano ha influito: la Sicilia è luogo di mito e di ricchezza intellettuale».

Il regista ci tiene poi ad aggiungere un concetto che riguarda l’essere siciliano:

«Battiato, Pirandello, Tornatore, Andò, Sciascia e gli altri: nel nome dei grandi intellettuali si dovrebbe fare una class action nei confronti della mafia . dice Spagnoli – una delle colpe, minori, della mafia è quella di hackerare la cultura siciliana in funzione delle sue storie. Distrae il pubblico dalla grandezza della Sicilia. La gente ha bisogno della Sicilia e dei siciliani – conclude – e pur non negando l’orrore vorrebbe affidarsi alla bellezza: invece ogni grande siciliano si è dovuto confrontare anche con questa realtà, pagando una penalità». (AGI)

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