Memoria, da lì parte la nostra esistenza

Memoria, da lì parte la nostra esistenza

La memoria è uno dei temi centrali della nostra esistenza.

Ricordare come un rituale liturgico, come strumento operativo, come ispiratore del nostro futuro.

Le comunità si stringono attorno al ricordo di qualcosa, si identificano con ciò che riemerge dalla memoria: l’olocausto degli Ebrei, l’attentato dell’11 settembre negli Stati Uniti, la Festa della Liberazione in Italia e l’elenco è praticamente infinito. Ricordi, non solo angoscianti, ma anche ricchi di gioia. Compleanni, anniversari, ricorrenze, celebrazioni, un infinito mondo di ricordi che diventano ritualismi, l’occasione per ritrovarsi, per condividere, per sentirsi comunità. Piccola o grande poco importa, la necessità dell’uomo è condividere con il suo “intorno “ sociale e culturale, un calendario ciclico di ricordi.

L’uomo celebra e rappresenta. Racconta, attraverso segni, la sua memoria viva. Ne sente la necessità, lo considera indispensabile, non tanto per ragioni nostalgiche, ma proprio per rendere “vivo” dentro di se il ricordo, come punto di partenza della propria esistenza. Colloca nel tempo e nello spazio, con andamento ciclico, un atlante infinito di “segni”. Lo fa attraverso le arti, fissando nello spazio fisico e trascendente una rete sottile di tracce, qualche volta criptiche, altre più evidenti.

Ricordare per non dimenticare.

Memoria, da lì parte la nostra esistenzaIl valore della Storia, dello studio di questa disciplina che non ha solo lo scopo di collezionare, ma di selezionare, tra tutto, quella parte che ricomposta dallo storico diventa una nuova “verità”. Non solo selezionare, ma individuare le connessioni funzionali tra le cose. Un lavoro fazioso, soggettivo, condizionato. Un lavoro che deve avere come base tre principi: la scientificità, l’eticità, la curiosità. Certamente anche il coraggio e l’utilità.

Ci ostiniamo – e facciamo bene – a ricordare alle nuove generazioni tutto quello che nel nostro passato, anche quello che non abbiamo vissuto personalmente, deve farci riflettere sul senso dell’esistenza, sul valore dell’umanità, sulla morale e sulle ragioni superiori della vita. Per non commettere gli stessi errori o per riproporre gli stessi gesti di un tempo, con un carattere didattico e pedagogico. Vogliamo ricordare, dobbiamo ricordare, certamente non per coltivare rancori personali e collettivi ma per curvare e declinare la nostra vita verso quell’orizzonte che si scrive “felicità”.

Qualche volta, alcuni usano la memoria per collezionare pregiudizi, per costruire guerre, per scavare trincee, rendendola persino leggendaria. Una forma malata di storicizzazione che è utile solo per costruire recinti culturali. Per proteggere interessi, per coltivare orti personali, per difendersi dalla consapevolezza della propria fragilità. Anche creando una narrazione “verosimile” o completamente “inventata”. Un uso distorto della memoria, malizioso e terrificante, grave come una pallottola. Uno strumento per uccidere, per far sparire le prove della nostra incoscienza.

Ricordare per rilanciare.

Ricomporre (la storia) per capire. In ogni campo, in ogni settore. Non tanto per copiare – dalla storia – ma imitare l’essenza della storia, i principi generatori, come archetipi invariabili dell’umanità. Perché questa è una delle tante verità, l’invariante della storia, la sua natura umana, ripetibile, replicabile. Sarebbe utile citare il teatro greco, narratore dell’umano divenire, sempre attuale e vivo. Le matrici dell’architettura, le sue leggi immutate nel tempo, declinate nei secoli con innumerevoli varianti semantiche e lessicali. Ogni cosa innestata nella storia e quando questo non avviene siamo consapevoli del disorientamento dentro il quale ci perdiamo, perdendo il senso della bellezza.

Ogni generazione deve ricordare. Andare oltre, se vuole essere felice e parte di una cosmologia più ampia. L’isolamento, la perdita della memoria equivale a un seppellimento dell’anima. All’imbarbarimento della specie umana, che ritrova quelle liturgie demoniache come “la guerra” o il desiderio di sopprimere “l’altro”. Non ricordare ci rende ciechi e ricordare male anche sordi ma storpiare la storia ci rende demoni, bisognosi di esorcismi culturali.

Ma anche non voler ricordare è cosa luciferina.

Memoria, da lì parte la nostra esistenzaScartare il ricordo, ometterlo, nasconderlo, storpiarlo, negarlo è sempre un gesto malizioso e furbesco che serve solo a prevaricare l’altro. La negazione della crescita per celebrare il culto della morte. Ricominciare sempre daccapo, da zero, come se nulla fosse mai successo. Una storia che non riesce a volare, condannata a restare a terra. Mentre l’uomo è riuscito a crescere solo perché ha capito le cose del mondo e le ha saputo trasmettere ai suoi discendenti, proprio con l’esercizio della memoria.

L’Ara Pacis, lo stendardo di Ur, la colonna Traianea, forme sublimi di memoria. Le Sacre Scritture, le feste popolari, il calendario agro pastorale, le cattedrali gotiche, i templi greci e le piccole costruzioni rurali nelle campagne o quelle parti minute e semplici dentro le città storiche. I grandi volimi dell’Enciclopedia, i dischi di vinile, le ceramiche antiche, i monili, gli affreschi, i racconti degli anziani, le filastrocche e i miti. Quanta storia raccontata, anche quella delle periferie dell’impero, quella dei piccoli centri, delle comunità più lontane. Memoria, ricordi, come pilastri di un edificio in continua crescita.

Abbiamo bisogno di ricordare ma non congelare.

Non serve immobilizzare la memoria ma renderla viva e attuale, fruibile per tutti, disponibile e accessibile. Chi ha usato la memoria, l’ha resa misterica e incomprensibile, per nascondere cosa? Una verità o semplicemente uno strumento per arrivare alla verità? L’uomo ha bisogno di ricordare, di celebrare questo ricordo, di usare, per guardare verso il futuro, la memoria, sua e quella dell’umanità. La memoria come strumento del progetto, come materiale per costruire, come filo che unisce l’uomo al divino, come dispositivo sentimentale, come oggetto di culto, come componente dell’anima, come colore per dipingere una tela.
Come un sorriso leggero, quello che ci sfugge dal viso quando abbiamo capito qualcosa di misterioso, solo per un attimo, per poi sparire di nuovo.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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