Ci vuole un fiore: con la Metropolitana in arrivo quale visione della politica per rigenerare le comunità

Ci vuole un fiore: con la Metropolitana in arrivo quale visione della politica per rigenerare le comunità

“Per fare l’albero ci vuole il seme. Per fare il seme ci vuole il frutto. Per fare il frutto ci vuole il fiore”.

Ci vuole un fiore: con la Metropolitana in arrivo quale visione della politica per rigenerare le comunitàSono le parole di una canzone di Sergio Endrigo del 1974. Nulla nasce per caso, ogni cosa è frutto di qualcosa. Ma per fare ogni cosa ci vuole un fiore.
Spesso siamo convinti che le cose avvengano per caso, all’improvviso, per merito o demerito di un singolo gesto. Qualche volta persino per intercessione della magia. Ma la verità è che se vogliamo modificare una tendenza, una possibile curvatura, una successione di eventi, dobbiamo prima comprendere la “complessità” che governa gli eventi, per immaginare di poterli trasformare in modo che siano il più possibile aderenti ai nostri desideri.

Se vogliamo rigenerare le condizioni di una comunità, non possiamo che ripartire dall’offerta culturale, dalla disponibilità dei servizi essenziali – sanità, mobilità, formazione, sicurezza – dalla qualità dell’ambiente e dalla creazione di nuove opportunità occupazionali. Una ricetta semplice ma che spesso viene disattesa dalle frenesie del momento, condizionate da interessi puntuali e parziali che non producono automaticamente benefici di filiera.

Per questo motivo, la politica ha il dovere di avere una “visione”, un’idea di futuro che tenga conto delle implicazioni determinate dalla complessità. Un dovere, una necessità, una questione di metodo, una scelta etico-morale nei confronti delle generazioni che verranno. Un albero non nasce per caso, un seme non appare all’improvviso, un frutto non matura magicamente e un fiore non esiste dal nulla. La natura ci insegna che ogni manifestazione è il frutto di una filiera interconnessa con altre filiere, quasi senza fine. Noi infatti tentiamo di capirne le ragioni con difficoltà.

Ci vuole un fiore: con la Metropolitana in arrivo quale visione della politica per rigenerare le comunitàSpesso semplifichiamo, minimizziamo, per evitare di porci domande a cui non sappiamo rispondere. Spesso facciamo persino resistenza alle innovazioni o peggio ancora, nascondiamo a noi stessi quelle verità che sono sotto i nostri occhi. Trasliamo in un futuro improbabile ogni nostra consapevolezza, ogni nostra determinazione, spesso per pigrizia, per comodità, per galleggiare più comodamente. Ma il conto arriva sempre, nei confronti della natura, della società, degli dèi.

In questo tempo di transizione, che oscilla tra il ricordo di una ricchezza senza fine, dove tutto è possibile (l’illusione degli anni ’60) e le limitazioni contingentali a cui siamo chiamati sul piano delle risorse energetiche, dei suoli, dei beni , del tempo e dei sentimenti; in questo momento pieno di fragilità e imprecisione, di compromessi e di ricadute veloci (guerre, pandemie, inflazione, ecc.) che condizionano la nostra idea di futuro, evidente nell’ansia patologica delle nuove generazioni; in questo tempo “strano” è necessario “pensare” a come meglio fare, a come ripartire, a tutte quelle strategie che dobbiamo mettere in campo per ritrovare un sentiero affidabile.

Consapevoli che non esiste più una comunità indipendente o autosufficiente. Che siamo comunque parte di una rete e dentro questa rete dobbiamo trovare la nostra identità culturale ed economica. Non possiamo pensare a noi stessi (come società) come baricentro del mondo o peggio ancora come gli unici presenti nel cosmo (a tutte le scale). Siamo parte di una filiera, di una costellazione, di un processo, di un mercato. Siamo parte di qualcosa ma non per questo dobbiamo rinunciare alle nostre identità.

Ci vuole un fiore: con la Metropolitana in arrivo quale visione della politica per rigenerare le comunitàMa la politica deve fare uno sforzo, uscire dal provincialismo partigiano, evitare il “petalismo” (pratica di ostracismo nei confronti delle menti pensanti, destinate all’esilio nel V sec. a.C in Sicilia), fuggire il “Verrismo” (termine declinato da Verre, governatore corrotto all’epoca di Cicerone), coltivare la meritocrazia funzionale (l’uomo giusto al posto giusto), seminare la cultura della legalità, per migliorare le condizioni di vita di tutte le comunità, anche quelle sono rimaste indietro come i disoccupati e gli emigrati.

La politica è chiamata a una grande sfida, forse a fare un apparente passo indietro per farne molti in avanti. Il Mediterraneo, l’Europa, l’Italia, la Sicilia fino alla nostra città, dentro i quartieri, hanno la necessità di dialogare per trasmigrare culture, pratiche, idee. La politica deve ritrovare il senso e le ragioni della sua esistenza: lavorare per la Polis. Serve quindi una ristrutturazione radicale dell’idea di azione politica, serve una traccia da seguire, un obiettivo da raggiungere, una finale da giocare. Forse servono più attori e meno spettatori, più manovali che generali, più ecologia (ambientale e mentale) e meno frenesia. Forse servono gli “angeli del fango” anche in politica, quelli che spalano terra e acqua, dopo un’alluvione e si sporcano le mani per il bene di tutti. Forse serve una riflessione serena e non una corsa senza regole verso una ricchezza effimera e provvisoria; quindi, una ristrutturazione radicale che parta dalle necessità e dai bisogni della gente: sanità, formazione, cultura, resi costellazione dalla mobilità. Un’idea di Metro-Polis 2.0 che dobbiamo costruire adesso. La metropolitana è l’occasione per innestare l’innovazione nei territori dell’Etna per enfatizzare e far riemergere le vocazioni vere di questa terra.

Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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