Paternò, la Giornata della Creatività è diventata la festa inutile del gavettone: smarriti gli embrioni di bellezza

Paternò, la Giornata della Creatività è diventata la festa inutile del gavettone: smarriti gli embrioni di bellezza

Ormai da qualche anno la “Giornata della Creatività e dell’Innovazione” è diventata “la giornata dell’imbracchiamento”.

Una festa tra giovani studenti delle scuole superiori di Paternò che prima si svolgeva al parco del sole e quest’anno, per la prima volta, in piazza Nino La Russa. Una festa che si è ridotta – dopo alcune edizioni più coerenti al tema della giornata – a una specie di mega gavettone di colori al ritmo di musica. Una specie di tutti contro tutti, quasi una liturgia tribale che lascia esplodere un urlo di liberazione: è finita la scuola. Sembra più uno sfogo che una festa.

La città rimane attonita – e spesso in silenzio – la gente assiste quasi basita e non capisce le ragioni di questa festa dell’inutile. Rimane la sensazione che sia solo un “urlo” privo di sostanza. Come per dire che la meglio gioventù, quel popolo di giovani che saranno la futura classe dirigente, nella giornata della creatività e dell’innovazione sanno solo sporcarsi di colore, ballando e inneggiando, sparando tubetti di colore pagando persino un biglietto (immagino per coprire le spese) per essere per un giorno i promotori del libero arbitrio.

Comprendo che queste riflessioni sono dure e non faranno piacere a tanti che hanno partecipato e organizzato ma servono per capire se esiste una via alternativa, per organizzare diversamente questa festa che invece ha un nobile scopo e dovrebbe essere il luogo dell’incontro delle migliori energie dei giovani studenti provenienti da tutto il territorio.

Per comprendere meglio il senso di questo ragionamento dobbiamo prima di tutto capire l’origine di questo giorno.

Il nome intero dell’iniziativa è “Giornata della Creatività e dell’Innovazione” e viene celebrata di norma il 21 aprile, data scelta perché si trova subito dopo la data di nascita di Leonardo da Vinci e prima della Giornata della Terra. Pensata per celebrare la creatività e l’innovazione proprio mettendo al centro la meglio gioventù. Coerentemente a questi principi molte feste in Italia e nel Mondo sono l’occasione per presentare i lavori, le ricerche, le sperimentazioni dei giovani studenti delle scuole superiori da presentare alla città, e alla stessa comunità scolastica locale. Oggi, con i social, il campo si allarga ed è possibile rivolgersi a un pubblico più ampio. Anche a Paternò, nelle prime edizioni c’era questa tensione e le scuole erano protagonista insieme ai ragazzi. Professori e alunni lavoravano per presentare le eccellenze scolastiche con gare, mostre, concerti e spettacoli teatrali. Una festa della scuola in città, un modo per festeggiare la fine dell’anno ma nello stesso tempo per “incontrarsi” e “confrontarsi”.

Qualcosa è andato storto, una deriva inattesa e ingiustificata.

Come se la nostra gioventù fosse solo un “caos” sfrenato e senza regole. Un peccato per l’intera comunità. Ci sarebbe da preoccuparsi ma non è tutto così catastrofico. Forse gli organizzatori dovrebbero ritrovare il senso della festa e non lasciarsi guidare dagli istinti della massa. Perché nelle scuole di questa città ci sono embrioni di bellezza, buone pratiche ed esperienze innovative. Questi giovani sanno riqualificare gli spazi della stazione FCE con disegni e pitture, sanno portare le biblioteche scolastiche nei quartieri della perifericità, conducano scavi archeologici con scoperte sensazionali, sono guide nei musei e curano il verde nelle aree incolte della città. Sono portatori di bellezza, ambasciatori di cittadinanza, cultori di sport, musica e teatro; sono ricercatori, musicisti, ballerini, inventori, artisti, studiosi. Sono eccellenze che crescono e fanno ben sperare.

C’è una profonda differenza tra quello che si vede nelle scuole alle feste di fine anno e quanto rappresentato in città con la festa della creatività; come se quella festa del caos avesse solo lo scopo di appiattire i talenti, di livellare i valori, come se avesse come fine ultimo trasformare per un giorno quella gioventù preziosa in una succursale della città dei Balocchi di Collodi. Un esercito di studenti che per un attimo diventano “ciuchi” guidati da un “mangiafuoco” occasionale. Tutti trasformati per diventare “il gregge” o la “mandria”.

Se osserviamo le feste nelle città vicine lo scarto fa più male;

ovunque gli eventi sono diversi, più coerenti ai principi originali della festa. Giarre, Linguaglossa, ecc. feste di innovazione e inclusione. Feste di gioia e di confronto, come quelle di un tempo in città. Non ci resta che tirare le somme. Ci sono le risorse umane, ci sono gli spazi, ci sono le opportunità; la stessa scuola è pronta a fare un salto di qualità con le nuove opportunità che offre la Scuola 4.0 e per questo bisogna ridisegnare i programmi della festa per il prossimo anno.

Con concerti degli studenti, spettacoli teatrali in città, mostre delle attività svolte a scuola, gare di sport e di solidarietà, letture e dibattiti, giochi e invenzioni, performance di arte, sfilate di moda e in costume insieme quelle tante realtà associative e istituzionali che già operano con attenzione e impegno in città. Ma serve un programma, una regia, un’idea complessiva, serve un nuovo format che esalti i valori e non coltivi la superficialità. Per tutto questo ci vuole più impegno, più capacità, ma ne vale la pena. Bisogna coltivare i valori come quelli dei tanti ragazzi e delle tante ragazze che nelle feste della scuola a fine anno hanno dimostrato che, anche se diversamente abili, sono “fantastici”: commuoventi e imprevedibili, come a volerci dire che bisogna andare oltre i pregiudizi perché c’è bellezza in ognuno di noi, basta farla emergere. Meno città dei balocchi e più città della creatività e dell’innovazione. La scuola c’è.

Foto di Elena Toscano

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

1 Comments

  1. Concordo perfettamente con quanto scritto nell’articolo dall’architetto Finocchiaro.
    E’ ormai in atto una deriva culturale, una sorta di “liberi tutti” (da cosa? dalla scuola e dal suo impegno?) che non ha un’idea che funga da baricentro, se non l’immersione nel caos e nella goliardata fine a se stessa. Cosa sarebbe la società senza la scuola? Forse dovremmo interrogarci anche su questo, invece di assistere in un silenzio complice ad esternazioni imbarazzanti, non in grado di incanalare le emozioni (eh, sì! anche la rabbia) in opere di bellezza, in qualcosa di non effimero ma di cui resti il ricordo. Non questo eterno e immobile presente dai contorni mortuari.

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