Tesori nascosti: la città sacra di Hybla ai piedi dell’Etna. Serve ora una nuova stagione di ricerche

Tesori nascosti: la città sacra di Hybla ai piedi dell’Etna. Serve ora una nuova stagione di ricerche

I tempi sono maturi per riavviare una nuova stagione di studi e ricerche sulla città di Hybla alle pendici dell’Etna.

Tesori nascosti: la città sacra di Hybla ai piedi dell’Etna. Serve ora una nuova stagione di ricercheNegli ultimi cinquant’anni, le riflessioni di tanti studiosi si sono concentrate sulla sua metamorfosi, a partire dalla conquista Normanna dell’XI secolo (1072). Pur dichiarando che le sue origini erano da ricercare nella Preistoria e che la città con il suo territorio sono state abitate continuamente nel tempo – le evidenze archeologiche lo testimoniano – le attenzioni di molti si sono concentrate a partire da quella fase del Medio Evo che ci ricorda tanto la “riconquista cattolica” degli spagnoli contro gli infedeli musulmani. In questo senso la storiografia ufficiale ha messo in secondo piano la matrice sicula della città, la sua fase greco-romana e quella arabo-bizantina. Al netto di sporadiche ricerche e di occasionali ritrovamenti, non ci sono studi sistematici e approfonditi.

La storiografia ufficiale, frutto di studi localistici, si riduce a Placido Bellia 1808, Gaetano Savasta 1911, Salvo Di Matteo 1976. Per il resto solo utili approfondimenti – pro e contro – a partire da questa raccolta bibliografica. Sul fronte della ricerca archeologica – escludendo il lavoro dei “ladri di memoria” – si hanno notizie frammentarie degli scavi di Paolo Orsi e Giuseppe Rizza (fino agli anni ’70) e in tempi più recenti, di Maria Grazia Branciforti e Laura Maniscalco. Poco rispetto al potenziale storico archeologico di questo territorio, dalla storia millenaria.

Questa condizione di marginalità rispetto alle risorse culturali e finanziarie attribuite a questo territorio ha provocato una desertificazione generale sul piano della ricerca, una perifericità diffusa sul piano culturale e antropologico: gli effetti più evidenti sono la scomparsa – negli studi, nelle pubblicazioni, nei convegni e negli approfondimenti – di questa città e della sua storia. Amplificata dalla maliziosa volatilità delle sue origini, del suo nome, della sua collocazione e in particolare dal suo essere un giacimento prezioso per i tombaroli.

La ricerca – oggi – deve ripartire dallo studio del materiale già emerso.

Tesori nascosti: la città sacra di Hybla ai piedi dell’Etna. Serve ora una nuova stagione di ricercheMa osservato con nuove visuali. Prima di tutto quella relativa alla storia del paesaggio con le sue stratificazioni antropiche e naturali. Senza una collocazione e una lettura “geografica” del paesaggio in relazione ai sistemi abitativi e sacri alla scala regionale non è possibile cogliere il senso di questo sito e la sua incidenza nella storia della Sicilia Orientale. Senza una visione sistemica, reticolare alla scala geografica, a partire dalle condizioni politiche e culturali, teologiche e antropologiche, idriche e agricole, vulcaniche ed energetiche, non è possibile capire il senso dei luoghi, la loro metamorfosi e quindi la decodifica dei documenti e delle testimonianze emerse e ancora da svelare. La ricerca ha bisogno di un’ipotesi investigativa di base, senza la quale si rischia di non sapere cosa cercare e dove.

Appare evidente che la comparazione delle fonti letterarie e la loro attendibilità sono un punto di partenza, ma nello stesso tempo c’è da interrogarsi, non tanto l’origine dell’etimo ma le ragioni della sua metamorfosi, perché per comprendere meglio dobbiamo capire il motivo che ha causato il cambio del nome da Hybla a Paternò. Per farlo dobbiamo prendere atto che la impalpabilità dell’origine del nome e la sua sempre dubbiosa collocazione non è solo una mancanza di documenti ma una forma sofisticata di “nascondimento” che afferisce alla transizione tra il paganesimo e il cristianesimo. Questa è la chiave di volta per scardinare e rilanciare la storia. Gli storici dovrebbero concentrarsi – sul piano della ricerca archivistica e archeologica – sul passaggio dal Tardo Antico alla fase Bizantina, il resto è una conseguenza e non è un caso che le fonti dirette scarseggiano.

Ma serve osservare la forma dell’acqua, i suoi percorsi, le sue strutture.

L’acqua e il fuoco, perché l’acropoli è l’uno e l’altro. Luogo di confine, margine dell’Etna, forse la sua stessa madre, in qualche modo lei stessa un’Etna in miniatura, luogo abitato il cui focus è l’idea stessa del sacro. L’acropoli di Hybla era un vulcano, era una piccola Etna, questo ci permette di riconfigurare le nostre visuali rispetto alla ricerca. L’acropoli era il punto di riferimento dal fiume Simeto e dalle vie di comunicazioni più importanti (da Agrigento a Messina, da Siracusa-Catania a Himera-Palermo). Le Salinelle – ancora una volta una manifestazione vulcanica – sono il baricentro regionale di una sacralità pagana e antica (oggi gli scavi archeologici ci confermano questa ipotesi, rendendo Palikè parte di un percorso più ampio, la Fabaria).

Proprio queste nuove chiavi di lettura ci permettono di motivare un programma di ricerca che potrebbe trovare conferma dall’avvio di scavi sistematici e programmati, che svelano (anche se appare evidente) come la chiesa di Santa Maria dell’Alto e il suo sagrato sono diventati quello che sono; come la transizione teologica ha trasformato il paesaggio (nascondendo) la sua matrice originaria. Restituire alla comunità l’identità perduta è un atto politico rivoluzionario, è un manifesto culturale che rigenera questo paesaggio proiettandolo verso una nuova vita. Non è solo una questione culturale ma anche economica, sociale ed etica. I tempi sono maturi. Denominare con il suo nome originale, Hybla, l’acropoli di Paternò è il primo atto da perseguire come fece Ragusa nel XIX secolo.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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