“Cronache di Adrano nel secolo di ferro”: le storie ‘minime’ raccontate da Pietro Spitaleri Perdicaro

“Cronache di Adrano nel secolo di ferro”: le storie ‘minime’ raccontate da Pietro Spitaleri Perdicaro

Un volumetto ricco di storie, episodi e personaggi che ci trasportano tra i vicoli di Adrano, nel periodo che va dalla fine del ‘500 all’inizio del ’700. “Cronache di Adrano nel secolo di ferro” di Pietro Spitaleri Perdicaro e pubblicato da “Nero su Bianco Edizioni” ci fa toccare con mano verbali giudiziari, atti notarili e riveli, da cui prendono forma individui, diversi per ruoli ed estrazione, che convivono nella stessa congiuntura della storia. Uno spaccato crudo e drammatico della Adrano (Adernò) di quattro secoli fa. Per gentile concessione dell’editore, il Corriere Etneo pubblica di seguito la prefazione scritta da Alfio Lanaia.

Nonostante la “storia evenemenziale” sia stata accusata di cogliere soltanto la superficie dei pro- cessi storici, dimostrandosi incapace di comprendere i fenomeni storici e sociali che si svolgono in profondità, è pur vero che le historiae minimae sono quelle che, raccontando l’uomo nelle sue mille sfaccettature, nelle sue passioni e nelle sue debolezze, ci aiutano a districarci e a trovare un po’ di luce in un mondo e in un passato che ci sembra- no oscuri e del tutto inconoscibili.

È il caso di questo volumetto, che Pietro Spitaleri Perdicaro ha finalmente deciso di tirare fuori dal suo scrigno di cose preziose e offrirlo ai lettori. Come suggerisce il titolo, si tratta di racconti «di taglio cronachistico» che l’autore ricava dalle sue ricerche condotte con l’acribia dello storico negli Archivi di Adrano e di Catania, spulciando tra i faldoni della Curia civile, della Curia giuratoria, della Curia criminale, della Curia capitaniale, nei Riveli ecc.

Con piglio arguto e originale, Pietro Spitaleri Perdicaro ci mostra personaggi veri e reali, vissuti ad Adrano tra il XVI e il XVIII secolo, protagonisti di vicende “diseroiche”, spesso vittime della prepotenza dei baroni, ma anche personalità di primo piano di cui ricostruisce la carriera politica o l’ascesa economica. Così, accanto al racconto di un personaggio picaresco, un soldato di origine balcanica dedito al vino, troviamo quello di nobili che si trasformano in ladri di passo; accanto al racconto di un giovane costretto dal padre a prendere i voti monacali, troviamo quello di un parroco concubino, accusato di fronte al vescovo di avere intrattenuto «commercio carnale» con una donna, suscitando perciò scandalo nel vicinato.

Sono, comunque, sempre i documenti a parlare. Sono le carte d’archivio che riportano, ad esempio, i numeri impietosi dei poveri ma soprattutto delle donne povere di Adrano, tanto da fare parlare l’Autore, in maniera condivisibile, di «povertà “di genere”: donne sole, reiette, vedove, malate oppure già marginali fin dalla nascita». Donne travolte da eventi che non potevano controllare, donne sparite dalla memoria cittadina, donne condannate ad essere cancellate per sempre dalla storia. Bene, dunque, fa l’Autore, pur nell’impossibilità di ricostruirne le vite, a fare i nomi di queste donne in un drammatico ma fin troppo eloquente catalogo.

Sempre dai numeri, Pietro Spitaleri Perdicaro ci fa scoprire altri aspetti poco conosciuti o tra- scurati delle classi dirigenti adranite del Seicento: attraverso lo studio degli inventari, contenuti nei rogiti notarili, accanto alla refrattarietà della nobiltà adranita per la cultura e i libri e allo scadimento culturale del ceto notarile, l’Autore segnala che la vita culturale di Adrano era animata da alcuni nobili addottorati, ma soprattutto da frati cappuccini e domenicani che insieme avevano dato vita, nel 1638, all’Accademia di belle lettere.
Non manca, l’Autore, di fornire al lettore le coordinate storiche in cui collocare e inquadra- re le cronache adranite di uomini e donne che si affannano tra miseria, povertà, sopraffazione, nella speranza di costruire un domani migliore. Il Seicento, il cosiddetto “secolo di ferro” in cui si svolge la maggior parte delle vicende narrate, vede la monarchia spagnola coinvolta e impegnata su due fronti bellici: la guerra contro i Paesi Bassi e la guerra dei Trent’anni. Per far fronte alle spese, all’economia di guerra, la Spagna deve battere cassa, deve imporre sempre nuove e più gravose tasse nei suoi domini. Si genereranno a motivo di ciò ribellioni e insurrezioni e anche la Sicilia ne sarà coinvolta: basti pensare ai tumulti per il pane, ad Adrano, nel 1677. A questi avvenimenti vanno aggiunte le scorrerie barbaresche nel Mediterraneo che rendevano sempre più insicure le coste dell’Isola e richiedevano perciò interventi di difesa straordinari che trasformarono la Sicilia in una fortezza. È questo anche il secolo in cui l’Inquisizione mostrò il suo volto più feroce, rendendo la Sicilia una prigione. In più si aggiungano, oltre alle carestie che segnarono il secolo, i due eventi catastrofici, l’eruzione dell’Etna del 1669 e il terribile terremoto del 1693, che misero in ginocchio l’Isola. Va anche detto, tuttavia, che questa, come altre volte, seppe reagire e risorgere dalle sue macerie, come dimostra la ricostruzione di intere città del Val di Noto, che annunciò la rinascita della Sicilia nel secolo dei lumi.

In questo clima vanno lette le «cronache» che riguardano tanti personaggi di Adrano, sia sconosciuti sia illustri, delle classi dominanti e dei ceti subalterni, uomini e donne che si trovano a convivere, pur con destini diversi, nella stessa congiuntura della storia. Sono per certi versi simili a tanti personaggi letterari, manzoniani, verghiani, pirandelliani, persino, ma differiscono da questi per un aspetto non secondario: sono veri, la loro esistenza è certificata non dai romanzi ma dalle ricerche d’archivio di Pietro Spitaleri Perdicaro.
Con lo sguardo a volte ironico ma sempre partecipe dei drammi umani che racconta, l’Autore, limitandosi a brevi ma dense introduzioni e commenti, fa parlare i documenti, nella varietà linguistica che di volta in volta usano i giudici, i notai, i cappellani, i contadini, gli uomini d’arme, i delinquenti; varietà che si disvelano non appena si toglie la patina del formulario latino o dell’italiano burocratico delle deposizioni dei testimoni nei processi (es.: dixit scire qualiter… ‘disse di sapere che…’, il quondam, la quondam; esso testimonio, suddetto affare ecc.).

Il lettore attento, perciò, vi può trovare, assieme a parole spagnole, entrate come prestiti nel siciliano e non più in uso – ad es. morrione (sic. murriùni) ‘specie di elmo’, dallo sp. morrión «capacede o celada, que por cargar y hazer peso en la cabeça» –, forme dialettali appena italianizzate – ad es. ha pixato (il letto), scauzo ‘scalzo’, cojira ‘pellami’ ecc. – e persino qualche voce che testimonia il vocalismo ‘inverso’ di Adrano già nel Seicento, come ad es. casaleni pl. ‘casolari’, rispetto al pan-siciliano casalinu, presente, d’altra parte, come casalino, in un altro documento utilizzato dall’Autore.

Non un testo di storia, dunque, tradizionalmente inteso, né una serie di racconti è quest’opera di Pietro Spitaleri Perdicaro. Un libro con un impianto originale, una historía e una apódexis, nel senso erodoteo di ‘ricerca’ e di esposizione organizzata e ragionata delle fonti d’archivio, con il rigore dello storico che non indulge a campanilismi di sorta, ma con un occhio attento al lettore che si troverà in mano queste pagine ambientate ad Adrano (Adernò) tra il XVI e il XVIII secolo. Pagine nelle quali sentirà pulsare la vita di uomini e donne, di preti e banditi, di baroni e villani sul limitare della storia. E di tutto questo gli siamo grati.

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