Narciso, torna in auge il protagonista del fraintendimento: dentro ogni immagine c’è il riflesso della realtà

Narciso, torna in auge il protagonista del fraintendimento: dentro ogni immagine c’è il riflesso della realtà

“Il nocciolo della storia non è che Narciso si innamora di se stesso ma che, non riuscendo a riconoscere il proprio riflesso, manca di ogni concezione della differenza tra sè e l’ambiente “Quest’affermazione di Christopher Lasch (storico e sociologo) introduce il tema del rapporto tra la realtà e la sua rappresentazione. E “quando il contemporaneo riattiva il significato del passato, così arcaico da confondersi con le nebbie del mito, si crea un corto circuito o un tamponamento di diversi livelli di temporalità” che Walter Benjamin (filosofo) chiama “telescopage”. Andrea Pinotti, nel suo libro, “Alla soglia dell’immagine, Da Narciso alla realtà virtuale” edito da Einaudi nel 2020, ci propone una visuale utile per re-interpretare il rapporto tra la narrazione e l’esperienza, tra l’immagine (riflessa) e la realtà fenomenologica.

Narciso, torna in auge il protagonista del fraintendimento: dentro ogni immagine c’è il riflesso della realtàSecondo questa prospettiva c’è anche una profonda differenza tra l’esperienza di fede (reale) e la rappresentazione del sacro (ideale). Tra mito e storia. Tra la sospensione e la direzione. Tra iconografia e spiritualità. Tra descrizione e attuazione della vita.

Il dizionario Treccani ci propone per i due termini due definizioni. Esperiènza (di fede) Conoscenza diretta, personalmente acquisita con l’osservazione, l’uso o la pratica, di una determinata sfera della realtà. Rappreṡentazióne (del sacro) L’attività e l’operazione di rappresentare con figure, segni e simboli sensibili, o con processi varî, anche non materiali, oggetti o aspetti della realtà, fatti e valori astratti, e quanto viene così rappresentato.

Quindi, una cosa è l’esperienza del divino e un’altra è la sua rappresentazione.

Semplificando, si potrebbe dire che le tre pietre miliari del Cristianesimo sono riconducibili a tre azioni dell’uomo: perdono/misericordia (analisi), amore/cooperazione (modalità) e rinascenza/rigenerazione (obiettivo).
Il perdono ci impone un atteggiamento critico nei confronti della storia, una rivalutazione e una contestualizzazione dell’agire umano. L’amore come modalità sociale e culturale, come strumento di coesione e produzione. La rinascenza come orizzonte, una prospettiva verso un cambiamento, una trasformazione. Questa potrebbe essere la realtà di fede, la visione che è testimoniata dal “Credo Cristiano”. Praticamente un’esperienza di fede, reale, misurabile.

Diversamente, l’uomo, ha narrato il suo rapporto con il senso del sacro, con la sua tensione verso il trascendente attraverso segni, simboli, liturgie e ritualismi. Sedimentati e stratificati, tradotti e riutilizzati nel tempo. Un atlante di significati e significanti che si ripetono da secoli, da quando l’uomo ha cominciato a raccontare la sua storia. A partire dalla necessità di cogliere il nesso tra il cosmo (indecifrabile) e la sua esistenza finita. Perimetrata dalla morte, dalle relazioni e dalla storia.

Narciso, torna in auge il protagonista del fraintendimento: dentro ogni immagine c’è il riflesso della realtàOggi, più che mai, il rischio è confondere le due dimensioni – esperienza e rappresentazione – fraintendere i livelli provocando un tamponamento di significati. Un rischio che è amplificato dalle semplificazioni iconografiche, dalle superficialità ideologiche, dagli stereotipi culturali. La Dea Madre, Demetra e Iside nel nostro contesto antropologico, sono la fotografia, l’immagine riflessa di una sacralità che si perde nel tempo, quando vengono costruiti i calendari agro-pastorali. Repertori necessari per lo studio della storia dell’uomo. Miti, allegorie della natura, una rappresentazione antropomorfa del rapporto tra l’uomo e il cosmo. Appare utile recuperare questo patrimonio culturale, attraverso l’arte, l’archeologia, la storia, e più in generale le scienze. Tutto questo ha generato liturgie urbane che si ripetano da secoli diventando ritualismi, che accolgono i segni, radicati nella storia. L’arte in questo senso è lo strumento più duttile per meglio comprendere, per capire, per svelare la transizione tra paganesimo e cristianesimo. Senza dimenticare le coerenze iconografiche, e nello stesso tempo, le dissonanze teologiche. Per parlare anche ai semplici, alla gente comune che vive quotidianamente la fatica della vita, qualche volta inconsapevole dei significati sottesi.

La rappresentazione del divino/sacro si preoccupa di capire quando, come e perché abbiamo raccontato il nostro rapporto con il mistero, il trascendente, il desiderio di comprendere quel logos indecifrabile che percepiamo come Dio. Demetra descrive la natura (rappresentazione), Cristo ci dice come vivere la natura (esperienza).

Torna all’attenzione la metafora di Narciso che nelle tante versioni della letteratura classica è comunque – coscientemente o incoscientemente – protagonista del fraintendimento. Della confusione tra la realtà (di fede) e la rappresentazione (della fede). Oggi dobbiamo spiegare, riconciliare le parti, consapevoli delle diverse definizioni. Confondere è un errore, ideologizzare è un errore, arroccarsi ancora peggio. Oggi abbiamo bisogno di spiegare, raccontare, distinguendo, destrutturando, definendo. Dentro ogni immagine – pagana o cristiana – c’è il riflesso della realtà, qualche volta distorto dalle lacrime che Narciso versa nello specchio d’acqua.

Un mantello azzurro, una veste bianca, un papavero rosso; un uccellino, palme, gigli e catene, sono alcuni dei tanti attributi iconografici che accompagnano la rappresentazione del sacro nell’arte. Basterebbe riconoscerle e non confonderle con il nostro viaggio spirituale, di uomini e donne, nel mondo. Il rischio è che la semplificazione mediatica riduca tutto a immagine, senza orizzonte, senza prospettiva, senza la capacità critica che andrebbe esercitata con rigore etico.

 

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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