Paternò, Naso ‘sospeso’ e la matassa da districare: la paura di staccare la spina

Paternò, Naso ‘sospeso’ e la matassa da districare: la paura di staccare la spina

Rinnovamento o continuità? La città di Paternò si chiede quale delle due direzioni deve prendere, se quella radicale della discontinuità o forse, quella plastica della ri-modellazione.

Le recenti vicende giudiziarie hanno scosso l’opinione pubblica, provocando un terremoto i cui effetti sono ancora tutti da capire. La giustizia seguirà il suo corso e produrrà effetti che potremo capire nel medio tempo. Quello che emerge è un quadro complesso il cui perimetro è tutto in divenire anche se alcuni temi sono già molto chiari. Da una parte la congruità del risultato elettorale – rispetto alle elezioni del 2022 e dall’altra quella della gestione amministrativa in termini di legittimità. La gente vuole sapere se la depressione economica, sociale e culturale in cui vive la città adesso, è stata causata – anche indirettamente – dalle vicende contestate all’attuale amministrazione che governa la città di Paternò.

Ma oggi c’è la necessità di fare una valutazione politica, lasciando quella giudiziaria agli inquirenti. Cosa significa interrompere un’azione di governo – in maniera traumatica – in un momento in cui sono in gioco le risorse finanziarie del Pnnr? Chi perde e chi vince? Quale è la posta in gioco veramente? Chi sono i veri protagonisti di questo tempo?

Ci sono ovviamente interessi diffusi e puntuali su quelle procedure avviate che – in regime di terremoto politico amministrativo – potrebbero sfumare o virare verso altre direzioni, questo è quello che fa più paura a chi è dentro le vicende. Chi è fuori, per tanti motivi, anche solo per non essere parte integrante di questa giostra ha tutto l’interesse a “ribaltare” lo scenario, a riavviare da zero. Sono due tensioni contrapposte, ugualmente argomentate.

Ma la politica dovrebbe riscoprire – almeno per una volta – i recinti ideologici e culturali. Definire le parti, ricomporre le ragioni che determinano le scelte. Perché è anche vero, che in mancanza di ideologie, in regime di confusione tra le parti, gli interessi di una si intersecano con quelli dell’altra. Il conflitto d’interesse è il vero protagonista di questa vicenda. Abbiamo tutti degli interessi da tutelare, incarichi da difendere, sottogoverni da garantire, rendite da proteggere. Lo status che abbiamo non riguarda una delle parti ma tutti, da ogni parte. Staccare la spina, significa intaccare gli interessi dei nostri vicini di casa se non dei nostri stessi compagni di viaggio.

L’attuale governo della città ha creato lo status della matassa. Un’intrigata rete di relazioni trasversali che impediscono una scelta decisa e radicale. Forse per questo, in tanti si affidano e sperano nel terremoto giudiziario che avrebbe la funzione risolutiva della forbice. Forse manca il coraggio di esprimere con determinazione una scelta di campo. Il tempo sembra sospeso in attesa di un evento improvviso come una tempesta o una bolla papale.

Allora riappaiono i partiti, PD, M5S, FdI, Lega, MPA e i sinistri (ci sono anche i silenziosi). Svuotati dei personalismi, improvvisamente iconografici. Gli stessi appaiono timidamente all’orizzonte, prudenti e pacati, per sottolineare questa o quella ipotesi, ma senza andare oltre. Forse servirebbe un po’ di più coraggio, evitando di tirare la giacca ai fratelli maggiori, divenendo protagonisti di questo tempo e non spettatori in attesa di una tempesta. Forse non siamo più abituati alla democrazia argomentativa, alla cultura del confronto diretto. Viviamo – dietro un palo – sperando nella provvidenza.

Come nel gioco degli scacchi, sembra che – pur di difendere il Re (entità ad oggi sconosciuta) – siamo disposti a sacrificare la Regina (il sindaco). La ri-modellazione sembra una trovata – furba – per garantire continuità agli impegni pregressi tra imprenditori, professionisti, dirigenti e politici. Possiamo sacrificare persino il sindaco pur di non perdere il nostro treno della felicità. In effetti è una partita a scacchi, dove le mosse sono quella del cavallo, dove la regina è messa all’angolo e i pedoni sono quasi tutti sacrificabili. Un gioco dove gli alfieri scorrazzano lungo il campo senza sosta.

Ma in tutto questo, per uno scherzo del destino, si sovrappone la commemorazione del 23 maggio dedicata a Giovanni Falcone ucciso dalla mafia nel 1992. E come per gioco, in quel teatro surreale che ci ha visti celebranti per anni, quasi come attori di una tragedia greca, di una rappresentazione, quasi inconsapevole del dramma siciliano che viviamo ancora oggi, ci ritroviamo tutti insieme, tutti. Testimoni meritevoli e non, di qualcosa che è liturgia della legalità. Ma invece di agire con prudenza e garbo, con timore e rispetto, tutto diventa come sempre competizione di numeri, di posizioni, di comunicazione. Sembra quasi che conti di più ciò che urliamo da quello che sussurriamo.

Stiamo perdendo, tutti noi, un’occasione per essere cittadini. Il silenzio strisciante, l’arroganza prorompente e quel continuo girarsi dall’altra parte comincia a puzzare. Le ragion di stato, le opportunità, la convenienza, tutto concorre a questo clima. E quei giullari che vivono con le scarpe in tanti campi sono preoccupati del rigurgito di saggezza che potrebbe riemergere all’improvviso. Quindi rimane aperta la domanda: rinnovamento o continuità? Chi vuole rispondere apertamente? La soluzione deve essere prima di tutto politica e non delegata alla mannaia giudiziaria, questa segue un’altra logica. Prima la politica, lo si deve a tutta la città. Serpeggia tra le fila della politica la paura del fallimento, il terrore dell’abbandono. E se poi la gente non è dalla mia parte? Non è una questione di like. Restiamo in attesa di un segnale, da una parte e dall’altra.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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