Paternò, il vizio antico di mettere le mani sulla città

Paternò, il vizio antico di mettere le mani sulla città

Affiora dalle profondità della storia urbanistica della città di Paternò un fantasma terrificante.

Riemerge, come un mostro marino, la storia di un pezzo di città, quella che fu immaginata come la “città giardino”, simbolo della nuova cultura urbana, figlia di una stagione politica che rilanciava questo territorio con un progetto innovativo. Un piano, un progetto, dalle firme prestigiose, quelle di Dario Ernesto Sanfilippo e Franz Faro, due accademici dell’università di Catania sviluppato negli anni ’70. Poi negli anni ’90 la firma di Bruno Gabrielli, con un piano che ricuciva e rammendava, aggiustando quelle anomalie che stavano snaturando la città.

Ma dietro le quinte, qualcuno ha rimodellato tutto, invertendo le logiche della pianificazione, saturando ogni spazio, per eliminare la parola “giardino” dal vocabolario della città. Metri cubi su metri cubi, senza una precisa visione sullo spazio collettivo e pubblico: case, case, case, anzi palazzi e nulla più. Senza strada, senza piazze, senza servizi, senza verde. Una voracità senza pudore, condivisa e praticata da troppi, cerchi magici plurimi, radicati e insinuati nella burocrazia, nell’imprenditoria e nella politica. Un patto “luciferino” che ancora oggi sembra visibile nelle lunghe ombre dei palazzi senza identità e memoria che hanno invaso il paesaggio del nord della città. Tutto questo a discapito del centro storico e delle altre parti di città – scala vecchia – che non hanno goduto di tutte le attenzioni che meritavano.
Oggi riemerge la questione cooperative edilizie, con tutto quel patrimonio di anomalie e patologie, che fanno rabbrividire i proprietari, le istituzioni e quell’esercito di faccendieri, tecnici, imprese e burocrati che hanno permesso il sacco sulla città. Ma riemergono anche questioni più drammatiche, come l’uso del cemento depotenziato, la mancanza di titoli autorizzativi, l’assenza di opere di urbanizzazioni e tanto altro. Strade mai fatte, opere mai collaudate, parchi scomparsi. Al contrario, si registrano invadenze, sovrapposizioni, storpiature del disegno urbano, al punto che alcune opere previste devono adattarsi ai capricci di pochi furbetti, arrivati prima, agevolati da un patto scellerato.

Per tanto tempo c’è stato solo il silenzio, l’imbarazzante silenzio di tutti. Espropri mai conclusi, opere mai realizzate (o realizzate con fondo pubblici, indebitando l’ente pubblico impropriamente). In alcuni casi c’è stato persino il tentativo di trasformare spazi previsti per l’uso collettivo – parchi, caserme, ecc. – in destinazioni privatistiche commerciali, poco ecologiche e molto inquinanti. Una corsa a conquistare il “far west” dove vince chi arriva prima, magari spostando o eliminando persino i parcheggi previsti.

Un modo di agire tutto locale. Nel resto del mondo la concessione a costruire volumi residenziali è preceduta dalla realizzazione delle urbanizzazioni e dei servizi, compreso la cessione delle aree al comune, compreso il collaudo di tutte le opere cedute, e solo successivamente è possibile realizzare le abitazioni. Tutto questo nel mondo tranne a Paternò, dove avviene perfettamente il contrario, ovviamente, alla fine si realizzano solo le case e per il resto si aspetta un miracolo. Chi ha guadagnato con questo gioco? Perché i singoli proprietari hanno sempre pagato tutto, anche gli espropri e le opere pubbliche. Non resta che dedurre.
Una bomba enorme che se esplodesse in ogni comparto risucchierebbe tutti i protagonisti della “terra di mezzo”. I protagonisti passati, presenti e forse quelli che ancora oggi giocano a fare i “furbetti del quartierino”. Rimane evidente che solo riprogrammando la revisione del PRG, oggi PUG, si può risistemare ogni cosa con una progettualità che punti alla visione di sistema, con un progetto unitario anche per parti significative. Nella zona della nuova stazione della FCE è oggi impellente, si rischia il “pasticcio” compromettendo la qualità dello spazio urbano.

Qualcosa bolle in pentola e forse le denunce alla procura possono accelerare questo processo di svelamento per anni nascosto. Le indagini possono scoprire tanto altro, per esempio come possano passare tre anni, prima che una denuncia sulla pericolosità di un edificio (coop. Livio Tempesta) diventi ordinanza di sgombero da parte del Comune. E ora chi lo spiega ai proprietari cosa è veramente successo? Troppo silenzio di tutti. Ignavi, complici o sciacalli? E che nessuno si permetta di dichiararsi vergine e stupito. Dagli anni ’70 ad oggi il gioco è sempre lo stesso.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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