Bronzi di Riace, nuovo studio conferma l’origine siracusana: la vera storia potrebbe riscriversi
Un passo avanti decisivo nella lunga e controversa vicenda dei Bronzi di Riace. I due capolavori dell’arte greca, avvolti da decenni nel mistero del loro rinvenimento e della loro origine, avrebbero una radice profondamente siciliana. A confermarlo sono i risultati di uno studio multidisciplinare di alto profilo, che per la prima volta esamina la questione con un approccio scientifico sistemico. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista «Italian Journal of Geosciences», sarà presentata al pubblico venerdì 12 dicembre, alle ore 15, al Teatro Comunale di Ortigia, in un evento a ingresso libero patrocinato dal Comune di Siracusa, dall’Università di Catania e dalla rivista «Archeologia Viva».
L’iniziativa, inserita nel cartellone per il Ventennale Unesco e diretta dall’archeologo Lorenzo Guzzardi, promette di riaccendere il dibattito attorno ai guerrieri più famosi del mondo. Lo studio, infatti, convalida la cosiddetta «ipotesi siracusana», che lega le statue all’antica città greca e alla sua potente tirannide.
La genesi di un’ipotesi e i nuovi dati scientifici. L’idea che i Bronzi fossero legati a Siracusa non è nuova. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, archeologi del calibro di Ross Holloway e Marguerite McCann avanzarono l’ipotesi che le statue fossero state realizzate a Sibari e collocate a Siracusa in epoca dinomenide, per poi affondare durante un trasporto via mare. Una tesi ripresa di recente con vigore da Anselmo Madeddu nel libro «Il mistero dei Guerrieri di Riace», e alimentata dalle dichiarazioni di alcuni testimoni che parlano di un recupero segreto nei fondali di Brucoli già alla fine degli anni Sessanta.
A dare finalmente un fondamento scientifico a queste voci ha pensato un team coordinato dal professor Rosolino Cirrincione, direttore del Dipartimento di Scienze Geologiche dell’Università di Catania. Un pool di oltre venti specialisti – archeologi, geologi, paleontologi, biologi marini – provenienti da sei atenei italiani ha analizzato per la prima volta in modo organico le patine, le concrezioni marine e i materiali dei Bronzi.
Le prove: un lungo riposo in acque profonde. I risultati sono inequivocabili. L’analisi delle incrostazioni biologiche e minerali rivela che i Bronzi rimasero esposti alle correnti marine per un periodo brevissimo, solo pochi mesi, nei bassi fondali di Riace (8 metri) dove furono ritrovati nel 1972. Al contrario, le caratteristiche delle concrezioni più antiche dimostrano che per oltre duemila anni i due guerrieri giacquero in un ambiente marino molto diverso: fondali tra i 70 e i 90 metri di profondità, esattamente come quelli dell’area di Brucoli, a nord di Siracusa.
Questi dati, uniti a considerazioni storiche e archeologiche, portano i ricercatori a una ricostruzione plausibile: le statue, fuse in un’officina della Magna Grecia (probabilmente Sibari), furono inviate a Siracusa nel V secolo a.C., all’epoca dei tiranni Dinomenidi. Dopo la conquista romana della città (212 a.C.), durante il tentativo di trasportarle verso la capitale, la nave che le trasportava sarebbe naufragata al largo della costa siracusana. Solo in epoca moderna, secondo le testimonianze raccolte, sarebbero state recuperate clandestinamente per poi essere “piazzate” nei fondali di Riace, in attesa di un ritrovamento ufficiale che ne cancellasse le tracce illegali.
L’attesa presentazione di venerdì prossimo a Siracusa non sarà quindi solo la divulgazione di uno studio accademico, ma l’apertura di un nuovo capitolo nella storia di due icone, che sembrano finalmente pronte a raccontare la loro vera, secolare odissea.
