#AbolisciQualcosa: ecco la mia lista per il Corriere Etneo

Prima che chiudano i loro programmi elettorali vorrei provare anch’io a dare il mio piccolo contributo all’abolizione di qualcosa. Tranquilli, non parlerò di tasse da eliminare o di canoni da cancellare: a quello ci stanno pensando già i nostri rappresentanti. Voglio, invece, puntare sull’abolizione di cose che proprio non sopporto più.
Alla maniera di Tony Pagoda (come chi è Tony Pagoda?) ho buttato giù una lista di “sette cose sette” da abolire a tutti i costi. Eccola (come ogni programma elettorale che si rispetti l’elenco si può ampliare, aperto com’è al contributo di tutti):
1 – A mare, e quindi da abolire per sempre, l’espressione catanese “Comu sì?”. La domanda mi è sempre parsa una presa per i fondelli. Da lodare chi, nel tentativo di smorzare l’effetto canzonatorio, risponde con liscìa: “A ‘ttri tubbi”.
Non è un caso che quei pochi che rivolgono la domanda con sincerità utilizzano sempre l’italiano.
2 – L’alzata d’ingegno di dire nei telegiornali “…ma cambiamo decisamente argomento” per sottolineare l’ideale sfoglio del giornale televisivo. L’abolizione è tassativa a meno che non si presenti entro 24 ore, a partire da ora, almeno un decerebrato che colleghi davvero Belen al misterioso caso della scomparsa di Emanuela Orlandi.
3 – L’arancino al pistacchio (e in genere tutti gli arancini che non siano al sugo). Propongo un voto unanime immediato e ad alzata di mano. Non se ne può più di questi “altri” arancini che nulla hanno a che fare con l’Arancino. Le altre versioni mi ricordano le Maje Desnude farlocche di un film di Totò (Totò, Eva e il pennello proibito, se volete rivederlo).
4 – Gli spacconi che anziché dire “al 100%” credono di calare il carico con il rafforzativo “al mille per mille” che nulla aggiunge alla percentuale tassativa cui si vuole far riferimento. Sentite con le mie orecchie varianti del modo di dire, tipo “tassativo al 101%” oppure “stai sicuro, al 120%”. Quando ho ascoltato siffatte espressioni non ero armato (lo fossi stato, avrei agito di conseguenza: al mille per mille).
5 – Il vezzo che i politici delle mie parti hanno di dire “ricordo a me stesso”. L’espressione è da abolire in pubblica piazza (decapitato il “tic” verbale, si darà uno schiaffo almeno ad un bambino presente).
Se devi ricordare qualcosa a te stesso, mi vien da dire, fissa un appuntamento “con te stesso” e una volta incontrato “te stesso” ricorda a “te stesso” ciò che va ricordato. Noi, al massimo, ti si fa una telefonata per non dimenticare la cosa.
6 – Il pinocchietto per noi uomini. Quel pantalone immondo che di solito viene utilizzato dai maschi durante la stagione primaverile ed estiva. C’è stato un tempo in cui lo stesso capo veniva comunemente riconosciuto come “pantalone alla Capri” (dal nome dell’isola e non da quello dell’autore di Champagne). Masters e Johnson, e giù giù tutti gli esperti di sessuologia, hanno certificato il valore del pinocchietto come fortemente dissuasivo nei confronti del sesso femminile. A meno che non lo si voglia indossare a guisa di contraccettivo.
7 – La parola “volàno”: essa va espunta in maniera definitiva dal lessico del politichese. Meccanici e tecnici in generale possono continuare ad usare il vocabolo. Come l’alcoltest per gli autisti che hanno alzato il gomito, la parola “volàno” è la cartina di tornasole per i politici che menano il can per l’aia (l’espressione “non sanno che cazzo dire” suonava male).
Per loro anche un chiosco bonsai può diventare un volano di sviluppo per il territorio.
 
Vi svelo un segreto: per smascherare un politico in incognito basta avvicinarsi a lui e canticchiare alla maniera di Domenico Modugno: “Vo-là-no”. Se risponde “Ohhh, ohhh” lo avete sgamato: è uno di loro.
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