Processo Trattativa: chiesti 15 anni per Mori, 12 per Dell’Utri, Subranni e De Donno

La Procura di Palermo ha chiesto 12 anni di carcere per l’ex senatore Marcello Dell’Utri accusato di minaccia a corpo politico dello Stato nell’ambito del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Più alta la pena richiesta per il generale Mario Mori per il quale i pm di Palermo chiedono 15 anni di carcere. Per gli altri due ex ufficiali del Ros, il generale Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, sono stati chiesti 12 anni di carcere. 
Per il boss mafioso Leoluca Bagarella i pm Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, hanno chiesto la condanna a 16 anni di reclusione, per il boss Antonino Cinà, entrambi accusati sempre di violenza e minaccia a corpo politico dello Stato, sono stati chiesti 12 anni di reclusione. Per il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, la Procura ha chiesto il non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione. E ancora: per Nicola Mancino chiesti sei anni per falsa testimonianza. Mentre per quanto riguarda Massimo Ciancimino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, la Procura sollecita alla corte d’assise la condanna a 5 anni di carcere per l’accusa di calunnia e il non doversi procedere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, perché prescritto. 
“Come in un puzzle abbiamo messo insieme le tessere. La singola tessera – ha detto il Pm Teresi – diventa importante e fondamentale solo se si incastra perfettamente nel quadro generale. Siamo convinti che le singole tessere, a partire dagli anni Settanta e fino a metà anni ’90, siano tutte parte di un unico, univoco quadro d’insieme che ha a che fare con l’atto di accusa che abbiamo proposto. Un quadro d’insieme a tinte fosche, con qualche tessera sporca di sangue, il sangue di quelle vittime delle stragi”. Come quella di Capaci, “consumata per vendetta e per fermare la grande evoluzione normativa impressa da Giovanni Falcone. Quella fu l’ultima strage della prima Repubblica”, secondo al tesi della Procura, perché “i fatti poi si sono evoluti ma Paolo Borsellino era visto come un ostacolo al cambiamento che si voleva e si pensava nel momento in cui si avvia la trattativa. Via D’Amelio è la prima strage della seconda Repubblica”.
Il Pm Di Matteo, che è stato trasferito da tempo alla Direzione nazionale antimafia e che ha continuato a seguire il processo Stato-mafia come ‘applicato’, ha lamentato: “Ci hanno accusato anche di attività eversive e nessuno ci ha difeso, ma noi lo avevamo messo in conto, perché questo è un processo che punta a scoprire livelli piu’ alti e causali più complesse, legati non a un fatto criminoso ma a una strategia più ampia”. Recentemente era stato Vittorio Sgarbi, assessore regionale ai Beni culturali di fresca nomina, a parlare di “pm eversivi” durante la presentazione nella Sala Mattarella dell’Ars del docufilm su Mario Mori. “In ogni momento, anche quando abbiamo avvertito l’isolamento – ha aggiunto Di Matteo, ricordando che questa e’ stata la sua ultima udienza da applicato al processo – abbiamo proceduto senza paura, nella consapevolezza di avere compiuto soltanto il nostro dovere di magistrato nel rispetto della Costituzione e del diritto dei cittadini alla verità”.
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