Catania, il pizzo alle vittime del pizzo: l’arresto di Salvatore Campo, paladino antiracket di facciata (VIDEO)

Salvatore Campo

Il ‘paladino antiracket’ imponeva il pizzo anche alle vittime della criminalità organizzata. E’ uno degli elementi emersi dall’operazione della Guardia di finanza di Catania che ha eseguito la misura degli arresti domiciliari per estorsione continuata, peculato e falso ideologico, nei confronti di Salvatore Campo, presidente dell’Associazione siciliana antiestorsione (A.si.a) di Aci Castello. Tra le sue vittime anche coloro che avevano subito minacce e pressioni dalla criminalità organizzata, i quali avevano chiesto l’accesso allo specifico fondo di solidarietà statale. Con lo stesso provvedimento firmato dal Gip e richiesto dalla procura distrettuale antimafia, è stato disposto il sequestro preventivo della somma di circa 37 mila euro, pari ai fondi pubblici erogati dalla Regione a favore dell’associazione e di cui l’arrestato si è illegittimamente appropriato, utilizzandoli per fini esclusivamente personali. L’arresto è stato operato militari del nucleo di polizia economica e finanziaria di Catania della guardia di finanza di Catania.

L’attività investigativa delle fiamme gialle di Catania, culminata oggi nell’arresto del 75enne presidente dell’associazione antiracket del Catanese, è partita dal monitoraggio delle organizzazioni operanti nel territorio, nonché dall’esame di esposti presentati in procura da alcune associazioni. Intercettazioni telefoniche, ambientali, videoriprese, testimonianze e accertamenti bancari, hanno consentito di delineare un quadro indiziario grave nei confronti di Campo, il quale costringeva vittime di fatti di criminalità organizzata, usura ed estorsione, che avrebbe dovuto tutelare, a consegnargli somme di denaro non spettanti, in misura proporzionale ai riconoscimenti previsti dalle disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura. L’Associazione siciliana antiracket è sorta nel 2008 con lo scopo, in linea con il vigente quadro normativo, di “esercitare una costante azione di stimolo e nei confronti dell’opinione pubblica e nei confronti di tutte le Autorità costituite affinché il problema dei delitti di estorsione e di usura vengano considerati primari ed essenziali non solo per le categorie che li subiscono ma anche per l’intera comunità che direttamente da tali delitti viene gravemente danneggiata”. Non ha carattere di lucro, come recita ancora lo statuto, e l’attività è finanziata da contributi associativi, contributi volontari, sovvenzioni pubbliche e l’eventuale residuo dovrà essere devoluto a favore delle imprese vittime. Nella realtà, l’associazione A.si.a. e’ stata utilizzata da Salvatore Campo, secondo le accuse, “per l’esclusivo perseguimento di un utile economico personale, in danno sia di coloro i quali si rivolgono all’associazione per ottenere assistenza e supporto sia nei confronti dello stesso ente che viene privato delle risorse necessarie per il perseguimento dei propri fini”. Campo, anziché agire a favore delle vittime “tendeva ad assoggettarle, subordinando il sostegno dell’associazione – specificatamente nella predisposizione delle istanze di accesso ai benefici di legge – all’accoglimento delle proprie pretese economiche”: pretese che oscillavano tra il 3% e il 5% del beneficio concesso dalla legge alla vittima del reato.

Le richieste venivano avanzate sia per avviare l’iter procedurale per il riconoscimento del risarcimento, sia prima del riconoscimento delle somme erogate dallo Stato. Quando l’associato non aderiva alle richieste di denaro, Campo assumeva atteggiamenti intimidatori fino all’abbandono dell’attività di tutela delle vittime già prostrate dagli uomini del pizzo e da usurai. I pagamenti, tra l’altro indicati in scritture private non registrate, avvenivano in denaro contante o attraverso versamenti bancari qualificati come contributi volontari. Almeno tre gli episodi documentati: nel primo, il gestore di una libreria vittima di estorsione e usura ha rifiutato di assecondare le pretese di Campo che chiedeva il 3% della somma “quale ristoro di legge”, prospettando al commerciante le inevitabili lungaggini burocratiche cui sarebbe incappato se non si fosse avvalso del suo intervento; nel secondo, ha ottenuto dai familiari di una vittima della criminalità organizzata – che avevano assistito all’omicidio del loro familiare – una busta contenente 1.500 euro in contanti senza i quali avrebbe di fatto interrotto la sua assistenza a favore delle vittime per il riconoscimento degli ulteriori benefici di legge spettanti; nel terzo caso, la vittima era un cittadino straniero, titolare di un bar, costretto a versare tremila euro, altrimenti non sarebbe stato adeguatamente seguito nel disbrigo delle pratiche necessarie per ottenere il saldo del risarcimento spettante. In una circostanza, Campo ha consigliato a un associato di farsi attestare da un medico compiacente una falsa patologia al fine ottenere illegittimamente un maggior ristoro dallo Stato. Il ‘presidente antiracket’ ha inoltre utilizzato a fini personali il conto corrente intestato all’associazione, nel quale affluiscono oltre ai contributi riconosciuti dalla Regione siciliana anche contributi volontari che dovrebbero essere vincolati al raggiungimento degli scopi statutari. Dagli accertamenti bancari eseguiti, e’ emersa un’appropriazione complessiva dei fondi associativi di oltre 70 mila euro. Solo una parte (circa 37 mila euro) è riferibile ai fondi pubblici, per cui il gip ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

GDF: “C’E’ DA FIDARSI DELLE ASSOCIAZIONI ANTIRACKET”

“C’è da fidarsi assolutamente delle associazioni antiracket”. Lo ha detto il generale Antonio Nicola Quintavalle Cecere, comandante provinciale della Guardia di finanza di Catania, parlando con i giornalisti sull’arresto del presidente dell’Associazione siciliana antiestorsione, Salvatore Campo. “L’associazionismo – ha aggiunto – costituisce oggi un pilastro del sistema Paese per prevenire e combattere questi reati, che sono veramente perniciosi, in cui c’è un approccio psicologico intimidatorio nei confronti delle vittime”.

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