Maschere, per la commedia o per la tragedia: serve Zorro per tornare a sperare

 

 

Un filo sottile unisce tante culture nel mondo. E’ l’uso della maschera, come stratagemma per mostrarsi o coprirsi. La maschera – d’argilla, di ferro, di carta o di stoffa – narra le tante storie dell’uomo e del suo rapporto con l’universo. Antonino Viola, scenografo catanese (anche se le sue radici, sono al Piano delle canne, vicino l’acropoli di Paternò) ci parla della sua esperienza didattica e di ricerca, sul significato delle maschere; all’interno di un laboratorio di ‘fashion design’ che svolge all’Accademia delle Belle Arti di Catania dove approfondisce le implicazioni antropologiche e artistiche di questo oggetto potente e taumaturgico che l’uomo usa da millenni. Sarebbe utile coglierne i risultati – più avanti – per scoprire le tante sfumature.

Nella percezione comune, la maschera è coprente. La sua utilità consiste nel nascondere (simbolicamente) l’identità di chi la indossa. Zorro e Don Diego de la Vega per esempio. Una maschera e un uomo. Una stoffa nera con due buchi nasconde l’identità di questo personaggio. Lo rende irriconoscibile. Diego de la Vega è un aristocratico californiano – un Paese ancora legato alla Spagna. La natura di Diego è quella di un eroe che soffre per come viene umiliato il suo popolo. Studia in Spagna, grazie al padre; è uomo di spada e di parola, forza e intelletto. Zorro significa volpe e la volpe è furba come un personaggio della classicità: Ulisse. Diego deve mettere una prima maschera, quella dell’imbranato, per non esporsi al governo usurpatore. Impacciato, codardo, femminuccia e ignavo. Lo fa perché è consapevole che il popolo non è pronto alla rivolta, non è maturo e gli aguzzini che lo sottomettono, sono potenti, ovunque e in gran numero. Usano la violenza per sottomettere gli abitanti, per inibire gli uomini liberi e godono del silenzio dell’aristocrazia, della borghesia e della chiesa, (tranne quella un monaco francescano). La maschera che copre la natura di Diego è quella del nobilotto impacciato e fragile.

E’ a questo punto che Zorro mette la sua maschera nera. Quella che non nasconde la sua natura, ma al contrario esalta il suo progetto politico e sociale. L’obiettivo non è nascondersi, ma sul piano taumaturgico ritrovare in sé, tutte le forze necessarie per combattere il male. Come per il vestito di Superman o l’Uomo Ragno, la maschera di Zorro mostra a tutti una nuova idea. Si pone come riferimento per il popolo che ha bisogno – antropologicamente – di una dimensione mistica e speciale per trovare il coraggio di agire. Libertà, giustizia, solidarietà. Lavoro, bellezza, parità sociale. Quella maschera è il simbolo di tutto ciò, e a portarla, non è uno del popolo, ma un aristocratico illuminato che ha studiato fuori da quel paese destinato alla schiavitù. Le componenti essenziali per la rigenerazione di quella città ci sono tutte: un popolo soggiogato da una tirannia governativa, che non riesce a reagire; un monaco che allevia i dolori di quella comunità; un esercito buffo ma presente (il sergente Garcia); un tiranno che urla in nome dell’identità locale e Don Diego/Zorro, che usando la maschera o forse le maschere si pone come facilitatore di un processo di riscatto per l’intera comunità. Isabel Allende, Zorro. L’inizio della leggenda, 2005, Feltrinelli

Il termine maschera, nel vocabolario Treccani, recita cosi: “màschera (sostantivo femminile). Finto volto, di cartapesta, plastica, legno o altro materiale, riproducente lineamenti umani, animali o del tutto immaginarî e generalmente fornito di fori per gli occhi e la bocca; può essere indossata a scopo magico-rituale, bellico, di spettacolo, di divertimento o semplicemente per non farsi riconoscere. Gli attori del teatro greco e romano recitavano con la maschera tragica, comica o da stregone”.
Mettiti una maschera, giù la maschera, non nasconderti dietro una maschera. Sono tra le frasi più ricorrenti che afferiscono all’uso di questo oggetto antico. “La maschera è un manufatto che si indossa per ricoprire l’intero viso o solamente gli occhi. È utilizzata fin dalla preistoria per rituali religiosi, ma la si ritrova anche nelle rappresentazioni teatrali o in feste popolari come il Carnevale; in Italia c’è una ricca tradizione di maschere regionali”.
E’ chiaro, a questo punto, la riflessione di Antonino Viola: la maschera è un modo per raccontare se stessi, per mostrare la nostra vera natura. La maschera non copre l’agnello ma enfatizza il lupo. La maschera non è solo una stoffa bucata due volte ma può essere un modo di essere, di mostrarsi alla gente. L’iracondo, il mistico, il fanatico sono maschere che non nascondono la dolcezza, la fede o l’amore; al contrario mostrano il nostro lato oscuro e arcaico: ingannano, falsificano e sottomettono.

Zorro invece è un progetto, un’idea, un modus. Zorro analizza il contesto, verifica le condizioni e stabilisce una strategia complessa. Accompagna il suo popolo alla ribellione e nel frattempo lo sostiene come può. Educa con l’esempio, dissacrando il potere, lasciando un semplice segno. Dimostra la fragilità di chi opprime, ironizza e beffa il tiranno. Mostra il suo lato fragile e umano. Dimostra la vulnerabilità dell’oppressore. Zorro non è il futuro capo ma un’idea di libertà, di coraggio, di intelligenza.
Zorro è una maschera comica e tragica. E’ la maschera più amata dai bambini: chi non mai voluto, infatti, essere Zorro? Bastava mettere la sua maschera e si diventava più forti, più veloci, più coraggiosi, più veri, più se stessi. In questi giorni, di realtà aumentata, di urla, di scontri, di conflitti e indifferenze. In questi giorni di silenzi assordanti, di complicità, di paure, di minacce. In questi giorni serve una speranza, serve un sentiero, serve un modello, serve Zorro. Si aprano le danze, è Carnevale e ogni scherzo vale e chi si offende è …. E come diceva Garcilaso de la Vega, (poeta di Toledo) Pluma y Espada (Penna e Spada), poesia e guerra; in pratica la natura stessa di Zorro: gentilezza e determinazione. Questa la strada da intraprendere?

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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