Adrano, scoperto per caso un luogo incantato: Qanat, la via dell’acqua e il possibile santuario rupestre

Ancora un mistero, in una terra antica che nasconde tesori straordinari.

E’ Federico Floresta, consigliere comunale di Adrano, che ci accompagna tra gli agrumeti a visitare un luogo magico e incantato.

Scoperto per caso, nascosto da una fitta vegetazione, troviamo l’ingresso di un Qanat; di quelli che ha studiato Francesco Giordano a Paternò, sotto l’acropoli – leggi qui –. Sembra la scena di un film di Indiana Jones, tra basalti colonnari e pietre levigate come per accogliere i passi dell’uomo. Una vegetazione fitta e rigogliosa nasconde una grotta, un passaggio, un sentiero. Testimoni di questa scoperta la redazione del Corriere Etneo e alcuni soci dell’Archeoclub Iblamajor di Paternò e in particolare proprio lo studioso di Qanat, Francesco Giordano.

Raggiungiamo una ripida scaletta di pietra scavata nella roccia e arriviamo all’ingresso del condotto, dopo aver camminato in mezzo agli agrumeti. Lo spettacolo è inatteso.

La natura sembra addomesticata. Le pietre colonnari di basalto rese monumento. L’uomo ha plasmato la natura per farla diventare un possibile santuario rupestre. Con un pizzico di follia iniziamo il percorso sotterraneo dentro la terra, percorrendo un cunicolo scavato – identico per forma e tipo – a quello di Paternò. E’ la conferma che le tre città – Adrano, Paternò e Motta – erano collegate da un tunnel sotterraneo?

E’ impressionante l’interno di questo condotto: scavato, modellato, impreziosito da dettagli idraulici e simbolici; fino a intercettare tre pozzi di luce che lo connettono al mondo esterno, alla luce, al cielo.

Un condotto idrico o un luogo di iniziazione? E’ strano come si sviluppa sul piano planimetrico. Tre pozzi e un piccolo percorso, enfatizzato da un ingresso misterioso. Questo manufatto umano si trova collocato al di sotto dell’altopiano che ospita la città di Adrano; ne segue la forma, cosi come la natura ha deciso ma prova ad addomesticarla. Si entra e si esce dopo una centinaio di metri. Verso sud e verso nord il condotto idrico e fuori terra e una costruzione di pietra lo inquadra, facendolo scorrere lungo il fianco della scarpata.

Andrebbe studiato, e valutato in funzione di un più ampio inquadramento che metta in relazione gli abitati, le risorse idriche e le canalizzazioni. In rapporto alla città greca, alle mura dionigiane, alla città araba. In rapporto con le strutture geologiche e vulcaniche, al fiume Simeto e alle sorgenti dell’acqua. Un mistero tutto da scoprire e oggi si è consumato un primo atto, la scoperta di un tesoro nascosto che può indirizzare la ricerca e cambiarne l’approccio. Dobbiamo seguire le vie dell’acqua e del fuoco. Il sottosuolo ci può raccontare ancora tanto.

Ma dobbiamo saperlo leggere. Inizia una nuova avventura. Intanto, per rinfrescarsi la bocca secca, un mandarino raccolto tra queste antiche rocce, ci disseta e ci rincuora, torneremo ancora per capire, per studiare e per raccontare a voi.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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