Scuola, insegnare a pensare: dopo la prof palermitana cosa fare del lògos

Sulla professoressa palermitana Rosa Maria Dell’Aria, sanzionata con la sospensione dal servizio e la riduzione dello stipendio per quindici giorni, c’è tanto da riflettere. Molto è stato già scritto e si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà nei confronti di quella ‘prof’ catapultata – suo malgrado – nel circo mediatico nazionale che tutto divora e amplifica. La sanzione subita dalla docente è spropositata, inopportuna e immeritata. Non possiamo che evidenziare che l’intera vicenda sembra confezionata ad hoc, per incendiare un clima pre-elettorale (europee), già abbastanza compromesso. Non possiamo che prendere atto che le stesse modalità, con cui il direttore dell’ufficio scolastico provinciale ha acquisito l’informativa e provveduto conseguentemente sono macchinose e forzate.
Ancora si aspetta di leggere le motivazioni del provvedimento sanzionatorio e le uniche notizie certe sono la sanzione, il video realizzato dai ragazzi e le parole della professoressa, che colpiscono per la mitezza dei modi, (una rarità, in un mondo che usa l’urlo per argomentare le proprie idee). Si legge, tra l’altro, che l’accusa è quella di non aver vigilato sull’operato degli studenti, di aver sottoposto documenti e materiali, senza indirizzarne la conclusione ideologicamente.

A essere sotto accusa – a questo punto – è l’intera categoria dei docenti italiani. In particolare il rapporto tra scuola e politica. Il confine tra insegnamento e indottrinamento. Forse, la stessa percezione che il cittadino ha del mestiere del docente che spesso viene considerato solo quello che ha tante vacanze durante l’anno e non come un educatore. Il punto è come la gente percepisce la scuola, i docenti e il loro lavoro. L’equivoco è pensare che il docente sia un certificatore di competenze dei figli altrui, un misuratore di potenziale successo degli studenti oppure il redattore di una graduatoria di merito dove i nostri figli devono essere collocati in cima alla lista. Non è cosi. Il docente è la guida di un processo che accompagna il discente verso la consapevolezza di se e delle proprie vocazioni, rendendolo protagonista del proprio futuro a partire dalle conoscenze acquisite e soprattutto lo aiuta a pensare, selezionare, scegliere – dopo aver analizzato e approfondito – tra le innumerevoli opzioni.
Esiste una letteratura ampia e articolata sul mestiere del docente, sugli obiettivi e le modalità che esso attua con fatica, ogni giorno per fare germogliare il sentimento della cittadinanza in ogni ragazzo – e se leggessimo qualcosa di Edgar Morin non sarebbe male.

Ma torniamo alla vicenda di cui sopra. Possiamo dare delle colpe all’insegnante, ai suoi studenti?
In questo senso la legge afferma in modo chiarissimo che “In nessun caso può essere sanzionata, né direttamente né indirettamente, la libera espressione di opinioni correttamente manifestata e non lesiva dell’altrui personalità”. Ora, per una democrazia, la libertà dell’insegnamento (e dell’apprendimento) è un principio non meno importante della libertà della stampa. Se non sono censurabili i giornalisti per aver paragonato il decreto sicurezza alle leggi razziali, non lo sono nemmeno gli studenti e la loro docente. La libertà di riflessione e di analisi degli studenti, la libertà di insegnamento dei docenti, la libertà di informazione, di critica, di denuncia sociale dei giornalisti sono tre aspetti di una stessa libertà: la libertà democratica. (Antonino Vigilante, pedagogista e filosofo)
Sul “Fare politica a scuola “, tema estremamente delicato e importante, personalmente ritengo che la scuola non solo possa, ma DEBBA fare politica, perché (seguendo Aristotele) “l’uomo è un animale politico” provvisto di LÒGOS, cioè di ragione e discorso, ragione discorsiva e dialettica. Il lògos è ben diverso dal muggito e dal grugnito di un animale, una ‘voce’ che può esprimere solo bisogni elementari, piacere e dolore. Il lògos consente di discutere su cosa è giusto ed ingiusto, bene o male. Solo attraverso il lògos si perviene alla collaborazione, alla giustizia distributiva e correttiva, al governo della polis, allo scambio economico. (Concetta Centamore, dirigente scolastico)

La scuola non fornisce una risposta alle domande, ma gli strumenti per decodificare, per scegliere, per capire. La scuola offre le conoscenze (disciplinari) per comprendere le ragioni della nostra esistenza, per illuminare la strada che percorriamo ogni giorno, per orientare lo sguardo e riconoscere la bellezza. La scuola è condivisione di idee, di spazi, di relazioni. Il dibattito, il confronto dentro le aule, nei consigli di classe, tra docenti, tra studenti sono un dispositivo educativo. Se cosi non fosse potremmo stare tutti a casa dietro un computer ad ascoltare una voce registrata, invece no. Incontriamo le diversità, le differenze e le trasformiamo in esperienza, in pratiche, in energia, non in verità assoluta.
Rimane un territorio di confine il rapporto tra politica e scuola, ma pur sempre un territorio della democrazia. Un luogo fragile e strumentalizzabile che il docente e la scuola governa con rigore, di volta in volta. Possono esserci anche casi in cui – talvolta – straborda nell’indottrinamento partitico, come avviene in ogni altro ambito della società. E la scuola è sempre vigile e garante, attraverso l’esercizio della collegialità, della condivisione dei programmi, dei continui confronti tra le sue parti costitutive. L’uomo è un animale politico per definizione, con le sue scelte, i suoi comportamenti, le sue esternazioni comunica perennemente. Ma la scuola ha un compito essenziale, non dimenticare la storia. Ricordare eventi, corrispondenze, attinenze, ridondanze. Forse questo è quello che fa più paura a chi vorrebbe ripercorrere sentieri già battuti. Forse per questo la scuola è l’ultimo presidio contro le malattie sociali e culturali del nostro tempo. Per questo la ‘prof’ di Palermo deve essere difesa e protetta e la politica dovrebbe essere più riconoscente e consapevole, oltre la competizione elettorale – urlare non ha senso.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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