Bronte, non c’è più lo ‘Scialandro’ di una volta: luogo simbolo della città quasi deserto

Lo “Scialandro” è una nota e antichissima zona del paese di Bronte. Il nome, probabilmente, deriva dal termine “scialata”, cioè divertimento. Perché lo Scialandro era un luogo di ritrovo, di una gita fuori porta. Ma, originariamente, questo luogo era tutt’altro che un divertimento. Proprio in questa zona, infatti, circa nel 1600, era stata innalzata “a fucca” (la forca in dialetto brontese), dove venivano impiccati i condannati a morte. La forca fu abbattuta, forse, in seguito all’Unità d’Italia. In memoria delle anime impiccate, venne eretta “a cunnicella ru Scialandru” proprio all’entrata di Bronte, insieme ad altre due: “a cruci Tirinnanna” dietro la Chiesa di San Giovanni e un’altra nella zona “salìci” in via Messina. Le tre “cunnicelle”, situate alle tre punte di quello che una volta era il perimetro brontese, formavano un triangolo che lo delimitava e dava ad esso protezione divina. Fino a pochi anni fa, lo Scialandro era il Belvedere della piccola cittadina brontese, un luogo di passeggio e di ritrovo dove poter chiacchierare e ristorarsi.

“Mi ricordo – racconta Padre Luigi Minio – che lì, alle porte del paese, i braccianti agricoli che cercavano un’occupazione attendevano che venissero ingaggiati per lavorare nei campi”. Il passeggio terminava ‘o tundu (piazzetta denominata così per la sua forma) che offre una splendida vista sulla vallata. Questo era il punto di arrivo dei “baratara”, i ragazzi che “cuntavanu i barati a chiazza” (contavano le lastre di pietra lavica in piazza). A detta delle nonne, la domenica era difficile riuscire a transitare a causa della folla. Chi usciva per sfoggiare il cappotto nuovo, chi per usufruire delle giostre che molto spesso venivano installate lì, o semplicemente per chiacchierare o incontrare un amico. Insomma, lo Scialandro era il punto di riferimento di grandi e piccini.
Ma adesso non è più così. Molti usi comuni sono andati perduti. Lo Scialandro, come il resto della piazza, è quasi del tutto deserto.
Così come gli altri, anche i miei figli – dice una nonna – passavano i pomeriggi allo Scialandro ad organizzare semplici giochi di gruppo: “a mucciatella, a bacirella, ‘ntri tri”; quella zona offriva molto spazio e molto verde, ideale per i ragazzini. Adesso – continua la stessa – si nota solo qualcuno darsi appuntamento per quattro chiacchiere.
A me – conclude la nonna nostalgica – piace ricordarlo com’era una volta.

Erika Samperi

Riguardo l'autore Erika Samperi

Erika Samperi, di anni 20, è una studentessa universitaria, orgogliosamente siciliana. Impegnata attivamente nel sociale, ama l'arte in tutte le sue forme, leggere e viaggiare. Cresciuta a pane e fiabe dei fratelli Grimm, nutre un amore sviscerato per i grandi classici della letteratura italiana e per il jazz e il blues americano. Spera di poter completare gli studi e continuare a scrivere raccontando la vita che la circonda.

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