Riapre la scuola: buon senso e flessibilità per fronteggiare il Covid. Guai a sigillare il mondo

Riapre la scuola: buon senso e flessibilità per fronteggiare il Covid. Guai a sigillare il mondo

Ormai manca poco, all’apertura delle scuole in Italia. Mascherine, distanziamento e igienizzazione sono le parole d’ordine.

Ordinanze, raccomandazioni e protocolli. Tutta l’Italia – in questi ultimi mesi – ha vissuto la complessità del mondo della scuola e ha compreso le tante implicazioni sul piano logistico, educativo ed economico. La scuola rimane quel luogo dove i nostri ragazzi – di ogni età – vivono l’esperienza dell’apprendimento.

Abbiamo preso consapevolezza, dopo mesi di didattica a distanza, che incontrarsi in presenza è indispensabile.

Nello stesso tempo abbiamo capito che la scuola vive enormi criticità, spesso nascoste dal lavoro silenzioso dei suoi protagonisti: docenti, collaboratori e dirigenti. Non sempre e non ovunque ovviamente, ma diffusamente in tutta l’Italia.

Certamente, il numero di alunni per classe, non agevola il lavoro di chi ha la responsabilità di far ripartire in sicurezza l’intera filiera. Certamente, i ritardi sulla digitalizzazione delle scuole, in termini di cablaggio e di strumentazioni digitale, non aiuta a programmare un prossimo futuro in serenità. Certamente, la poca disponibilità per le famiglie, di tutti gli strumenti utili per la connessione in rete, ritarda il rilancio della società digitale. Servirebbe un piano diffuso e capillare di ristrutturazione del sistema scuola a partire dal disallineamento tra gli spazi fisici della formazione (edificio scuola) e le metodologie didattiche.

Siamo per adesso concentrati sui banchi, sulla loro forma, sull’opportunità di avere più o meno le ruote e su quando arriveranno. Le nostre attenzioni sembrano essere indirizzate verso questioni marginali e secondarie, figlie della paura, pressate dall’incubo delle responsabilità. Le scuole devono riappropriarsi della città, dello spazio vicinale, del suo intorno. Siamo incastrati da norme e protocolli (solo per garantire un possibile responsabile) che hanno invaso i territori della creatività, dell’autonomia didattica e della sperimentazione.

Una tempesta di misure, quantità, qualità, procedure, sequenze, direzioni e di ogni elemento prossimo all’alunno, dentro la scuola.

Ma quest’alunno, questo docente, questo collaboratore, dopo la scuola si immerge nel mondo reale raccogliendo ogni forma di contaminazione per poi riversarla il giorno dopo, dentro questo mondo privo di pericoli che è la scuola delle norme e dei protocolli. Una follia.

Qui non si tratta di sottovalutare l’emergenza Covid ma di capire se tutto quello che si sta facendo è per la sicurezza del personale scolastico e degli studenti oppure se non è altro che uno strumento per individuare – tra le pieghe delle norme – un possibile responsabile a cui scaricare ogni colpa.

Per tutti è chiaro che chiudere – come abbiamo fatto in primavera – non è più possibile, pena il crollo dell’economia. Abbiamo capito tutti, che bisogna essere prudenti, attenti, responsabili ma certamente non possiamo metterci nelle campane di vetro la mattina e vivere in mezzo alla gente il pomeriggio. La scuola deve adottare tutti gli strumenti utili per mitigare e non per sigillare il mondo.

Non vogliamo estremizzare, né sottovalutare ma appare evidente che qualcosa non sta funzionando.

Basta pensare alle distanze di sicurezza variabili divise per statiche e dinamiche, differenziate per tipologia di servizio. Immaginiamo di metterci nei panni del virus, impegnato a rispettare anche lui i protocolli, tutte le distanze e le modalità di contagio. In pratica starà studiando per non farsi trovare impreparato.

Le scuole non sono tutte uguali. Non hanno gli stessi problemi.

Le città non sono tutte uguali, come non sono tutti uguali i mezzi di trasporto, le caffetterie, le cartolibrerie, l’aria che respiriamo e via di seguito. Immaginate i docenti a igienizzare i libri, i compiti, le maniglie, i banchi ogni 50 minuti. E le ricreazioni? Per i protocolli sono solo eventi da evitare ma erano anche quelli “fare scuola” in presenza. Insomma torniamo a scuola o andiamo altrove? Non basterebbero delle raccomandazioni più semplici e flessibili per mitigare? E cosa succederà al primo contagio a scuola? Tutti a casa? Ma l’Italia è un paese che usa la parola semplificazione per complicare la vita di tutti, siamo rimasti bizantini dentro.

La soluzione non è facile e nemmeno la posizione di chi deve decidere: serve buon senso, flessibilità.

Forse serve mappare, monitorare, compartimentare; ma serve anche vivere, proteggendo le fragilità puntualmente. Serve prima di tutto ristrutturare la scuola, investire sulla riconversione degli edifici, sulla digitalizzazione, sul rapporto tra alunni e docenti, sugli strumenti innovativi e sul diritto allo studio per tutti, perché il Covid ha evidenziato che ancora ci sono troppe differenze nell’accesso allo studio, troppe. Su queste bisogna lavorare evitando la caccia alle streghe.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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