Paternò: Scuole chiuse o aperte? La fascia tricolore e il corto circuito istituzionale

Paternò: Scuole chiuse o aperte? La fascia tricolore e il corto circuito istituzionale

Mi piacerebbe arrivarci da lontano ma forse è meglio puntare dritti al punto. In questi giorni ho persino lanciato un test sui social per indagare sugli umori della gente e qualcosa è uscito fuori.

Nella splendida città che guarda l’Etna, sfiorata dal fiume Simeto, la domanda di questi giorni è chiudere o aprire le scuole.

Nel sottobosco urbano – quello dei social – s’insinuano vendette, agguati, dichiarazioni di guerra e sortite di ogni tipo: ateniesi e siracusani, romani e cartaginesi, arabi e normanni, fino a confondere del tutto gli spettatori sugli spalti. Un teatro tragico che nemmeno Eschilo poteva mai immaginare. Uno scontro pilotato e voluto che diventa funzionale.

Paternò: Scuole chiuse o aperte? La fascia tricolore e il corto circuito istituzionaleLa scuola è il centro di una comunità, a qualunque scala. La scuola è tante cose insieme:

identità, socialità, solidarietà, innovazione, formazione, cittadinanza, futuro e sentimento. La scuola non è solo un luogo, un ente, un lavoro; la scuola è un organismo complesso, fatto di tante parti che si legano indissolubilmente. La scuola è un corpo omogeneo che contiene infinite diramazioni che affondano le radici nel territorio. La scuola è un ricordo, una festa, un bacio rubato, l’ultimo giorno, il voto sul registro, lo scherzo al bidello, la fila al bar e la lista è senza fine. La scuola è l’aria fresca al mattino prima di entrare, la pioggia battente sui vetri durante la spiegazione, il sole che riscalda le braccia mentre si corre sulla pista.

Poi è arrivato quel maledetto virus. Quello che uccide. Quello che ci costringe a vivere come fantasmi, coperti e distanti come appestati.

Dentro bottiglie di plastica, nascosti dentro le case che qualche volta diventano prigioni insopportabili. Luoghi che imbrutiscono l’anima fino a farci diventare violenti, insopportabili, arroganti e furbastri. Non tutti, non sempre ma molti si riscoprono diversi e cambiati, anche senza volerlo. Ma passerà.

Per tutto questo e per tanto altro la scuola rimane l’ultima barriera, lo spazio della rinascenza, dove sperimentare una porzione di normalità, un frammento di vita felice, dove si pratica l’inclusione:

in sicurezza, nel rispetto delle norme, guidati da protocolli precisi. Ma sembra che il giocattolo si sia rotto. La scuola diventa un ostaggio, un pretesto, una scusa, l’occasione per scatenare violenze e rancori, tra parti della stessa comunità. Il caos, la confusione, gli schieramenti, gli agguati fino a scoraggiare il confronto delle idee, fino ad avere paura di esprimere il proprio pensiero. Una catastrofe sociale e culturale che si somma a quella economica e istituzionale.

Paternò: Scuole chiuse o aperte? La fascia tricolore e il corto circuito istituzionaleL’immagine che ne esce fuori – alla vista degli osservatori esterni e dei ragazzi – è imbarazzante, perché non è normale che un gruppo di cittadini debba chiedere aiuto allo “Stato” per far rispettare una legge che viene violata dallo stesso Stato o meglio, dal suo più autorevole rappresentante locale.

Sì, perché il sindaco è lo Stato, lo rappresenta e ne usa i poteri e i simboli. La fascia tricolore che lo identifica, è il segno dello Stato e delle sue leggi. E’ un corto circuito istituzionale, quindi, se lo stato contraddice se stesso. Ovviamente il sindaco non è un padre, un parente, un amico. Non è uno al quale raccomandarsi per trasgredire lo Stato. Il sindaco può e deve avere certamente una sua idea sul valore delle leggi e nessuno gli vieta, in privato, di esternare le sue perplessità, ma rimane pur sempre l’uomo con il tricolore. Ha giurato per questo fedeltà alla Stato. Allora se non condivide un dispositivo normativo può fare due cose: trovare soluzioni alternative alle criticità emerse oppure riconsegnare la fascia tricolore.

Certamente non può sentirsi attaccato dallo Stato, non può dichiarare che non si lascia intimidire dalle sentenze, perché queste espressioni si usano quando a intimidire sono le mafie, le lobby, i poteri forti.

Non può nemmeno giustificare il linciaggio mediatico; perché abbiamo visto tutti cosa è successo a Capitol Hill negli Stati Uniti, con le esternazioni di Donald Trump. Non può nemmeno dire di essere stato intimidito dallo Stato (attraverso le sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale) e dichiararsi il padre che proteggerà i sui figli a ogni costo, perché confondere i cittadini per i propri figli è un errore politico, un precedente grave, che non conduce alla democrazia ma alla teocrazia.

Paternò: Scuole chiuse o aperte? La fascia tricolore e il corto circuito istituzionaleCertamente è vero che la situazione pandemica è molto grave e serve lucidità, condivisione e professionalità, non serve un padre comprensivo e accomodante, serve un sindaco, un uomo delle istituzioni, che si coordini con le altre parti dello Stato:

governo regionale e nazionale. Forse serve fare bene le cose di competenza, forse serve individuare le criticità e le responsabilità (trasporti, Asl, ecc.) evitando di nasconderle con dichiarazioni pastrocchiate. Chiudere le scuole comunali è una sconfitta istituzionale non una terapia paterna: la presa d’atto che nulla è stato fatto per evitarlo. Il sindaco incentiva i controlli, coordina le risorse, dialoga con le forse politiche, ascolta le parti sociali (tutte), sostiene le attività economiche e culturali, predispone piani di intervento, e conforta chi perde i propri cari. Ma non chiude le scuole. Passi la prima chiusura, quella di dicembre, ma la seconda sembrava più una sfida che una strategia alla pandemia. Democrazia non significa che uno vale uno, che basta urlare per avere ragione, che basta contare i ‘like’ sui social. Non serve circondarsi dalla folla inferocita. La storia insegna. In democrazia ci sono uomini eletti che rappresentano lo stato e devono restare coerenti al mandato istituzionale. In caso contrario consegnano la fascia al Prefetto e vanno via.

Ma tra le pieghe di questa storia c’è anche il resoconto degli ospedali: più aborti tra le adolescenti, più violenze sui minori e alle donne, più depressioni, più violenza, più bambini con difficoltà di apprendimento.

Nemmeno durante la guerra c’è stato tanto, ma questo è l’effetto della prolungata assenza dalle scuole da parte dei nostri ragazzi e lo stare chiusi a casa. Il contagio, lo sappiamo, è altrove, anche nelle corse dei cavalli e nelle soste degli adulti davanti al bar.

La Dad è uno strumento complementare straordinario ma non sostituisce la scuola in presenza, specie per i bambini. Vada per i ragazzi delle superiori (senza strafare) ma la scuola ha bisogno di aprire, di vivere.

Le mamme che portano i propri figli a scuola sono tutte uguali: non ci sono quelle degli aperitivi e quelle chioccia. Sono solo mamme e metterla sul piano del conflitto di classe è la prova che questa storia è un testo scritto da qualcuno che gioca con le debolezze umane. I docenti sono coraggiosi, la scuola educa al coraggio e nessuno si tira indietro. Bisogna tenere in conto anche questo prima di chiudere le scuole, basta guardare oltre i social. Bastava confrontarsi per cercare convergenze.
Allora sindaco, torni alla sua missione. Faccia la cosa giusta e accompagni lei stesso questa città verso la riconciliazione. La città ne ha bisogno, la fascia tricolore lo richiede.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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