La Rinascenza: il Cristo vincitore e il tempo della vita

La Rinascenza: il Cristo vincitore e il tempo della vita

Siamo entrati nel tempo della rinascenza. La Pasqua ci ricorda ciclicamente questo momento.

La Rinascenza: il Cristo vincitore e il tempo della vitaLe nostre liturgie, quelle religiose e quelle laiche, celebrano riti che si tramandano da secoli; trasformati nel tempo ma coerenti ai principi generali del calendario agro-pastorale e astronomico.

Lungo le pieghe del tempo si sono perse alcune ritualità nella pratica collettiva, mantenuti in vita solo dalle chiese e dagli anziani.

Un patrimonio di tradizioni che rendeva la pasqua uno dei momenti più intensi dell’anno. Gli abiti, i dolci, gli odori e le processioni. Il raccoglimento mistico, il mistero della natura che rivive, la consapevolezza della ciclicità della vita che si alterna con la morte.

Proprio questa consapevolezza, quella dell’alternanza tra vita e morte, rende quest’ultima, non la fine di qualcosa ma un passaggio, una transizione, determinando un pendolarismo perpetuo che caratterizza l’esistenza del cosmo.

Quest’anno, per la seconda volta, i riti pasquali sono stati condizionati dalla pandemia maledetta.

Diversamente dall’anno precedente, si sono celebrati i riti essenziali almeno per la comunità cristiana. Nelle chiese si respira un’aria di speranza e l’esempio di Papa Francesco – con la sua sobrietà liturgica, senza per questo rinunciare alla profondità del significato pasquale – ha rafforzato l’impegno della comunità credente. In piazza San Pietro, un popolo di bambini ha dato voce alla via Crucis, celebrata dal Papa, restituendo una semplicità profonda e attualizzata della teologia cristiana: Dio si è fatto uomo.

Ma questa dimensione teologica non può essere rivolta solo ai credenti.

La Rinascenza: il Cristo vincitore e il tempo della vitaLa rinascenza è una condizione universale. La natura ci restituisce – con le sue leggi – un messaggio pragmatico e prospettico: la morte e la vita sono esse stesse parte della nostra esistenza e vivono compiutamente nella ciclicità perpetua dell’universo. La costruzione di questo paradigma teologico è legata alla pratica agro-pastorale che gli uomini hanno celebrato e governato sin dall’antichità, a partire dalla coltivazione dell’orzo, nella Mesopotamia; quattromila anni prima di Cristo, intesa come pratica di teologia politica che si trasforma di teologa religiosa (Jan Assmann, Potere e salvezza. Teologia politica nell’antico Egitto, in Israele e in Europa, Einaudi).

Gli uomini nei secoli, hanno rappresentato questi principi con infinite modalità espressive, con l’arte prima di tutto, rendendo rituale tale rappresentazione.

Da una parte, quindi, ci sono le leggi universali e dall’altra la rappresentazione di esse. L’arte ha quindi assunto il compito di narrare la nostra percezione del divino, la dimensione del trascendente, l’esigenza di comprendere il mistero di una natura ordinata anche se apparentemente incontrollata. In pratica continuiamo a rappresentare il controllore della natura (Dio) e le sue espressioni più misteriose (Natura), quasi come tentativo di capirne le ragioni e lo facciamo producendo ritualità coerenti e ridondanti. Credenti o non credenti, la rinascenza è un segno per tutti: la necessità di rinnovarci nella continuità dello scorrere del tempo che tutto cambia e tutto trasforma.

Esiste un microcosmo dietro l’angolo, dentro il quale si può scovare l’universalità di questo messaggio.

La Rinascenza: il Cristo vincitore e il tempo della vitaBasterebbe entrare dentro una delle mille chiese che celebrano la pasqua in questo sabato di festa sommessa e contingentata. Riti e misteri senza tempo, il cero pasquale, il fuoco e il profumo d’incenso. La processione di sacerdoti devoti, il rito della notte e della luce, l’acqua cosparsa sui fedeli, il suono dei canti lontani, l’organo che accompagna i passi lenti del celebrante e le candele accese come a voler cacciare i demoni. Sul sagrato una folla distanziata, immersa nei profumi della natura, circondata delle antiche sacre pietre – prima templi e adesso basiliche cristiane. Un atlante di celebrazioni liturgiche, simili ma non uguali, scandite da gesti teatrali, per rappresentare il mistero della pasqua-rinascenza.

Un uomo gigante, dal volto buono suona le campane, le suona a festa, per suggellare la resurrezione dalla morte, per chiudere il tempo della morte (dalla festa dell’1 novembre fino alla pasqua) e annunciare il tempo della vita (dalla pasqua alla festa dell’1 novembre). Dentro una chiesa dalla forma ellittica, nascosto da un drappo rosso, appare all’improvviso un Cristo vincitore e pieno di luce. La parola, i gesti, gli sguardi, le processioni e la benedizione. Il rinnovo del patto tra l’uomo e la natura (divina).

Non è obbligatorio essere credenti di qualcuno ma semmai sentirsi parte di qualcosa: il creato e per questo agire di conseguenza, coerentemente.

La Rinascenza: il Cristo vincitore e il tempo della vitaLa città è invasa da mille odori: fiori, zagara e gelsomino. Una festa di colori in cui l’azzurro del cielo, in tutte le sue sfumature del tramonto, diventa un tappeto magico su cui si collocano le case, i palazzi, le chiese e le colline all’orizzonte, fino a perdere lo sguardo verso la montagna di fuoco, verso un fiume che scorre o il mare infinito.

Ogni albero, ogni pianta canta una rinnovata primavera e Botticelli l’ha raccontata mirabilmente con la sua grande opera conservata agli Uffizi di Firenze.

Ma dentro questa città da cui scriviamo – alle pendici dell’Etna – nascosta e sepolta, mai dimenticata, c’è ancora il ricordo di Demetra e Persefone che celebravano, in un tempo lontano, questo stesso momento di rinascenza, con altri gesti e altre liturgie, ma pur sempre per celebrare la vita nuova, la vita ritrovata.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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