La terra brucia e Andrea non è l’unica vittima: ciò che di concreto c’è da fare

La terra brucia e Andrea non è l’unica vittima: ciò che di concreto c’è da fare

Un uomo che coltivava e custodiva la terra è morto.

Una verità cruda, diretta, spietata. Questa morte è la punta di un iceberg che sta mettendo a ferro e fuoco il sud del mondo. L’ultima della serie, la più stridente, quella che ci ferisce dentro, nel profondo dell’anima. Una morte che trascina con sé tanti colpevoli, troppi, nascosti nei luoghi più inattesi. Ma difficilmente – oggi – qualcuno di noi può sentirsi innocente. Ovunque si voglia guardare ci sono responsabilità, complicità, indifferenze, apatie e le tante teatralizzazioni ormai tanto di moda.
Andrea Di Stefano – l’ultima vittima degli incendi a Paternò – era un uomo semplice, figlio di una terra che vive immersa nelle contraddizioni più estreme.
Perché è morto? La risposta bisogna darla ai suoi figli, a sua moglie, ai suoi amici, a suo padre e sua madre. Tra poco, dimenticheremo tutto, presi dalle nostre “belle” vacanze, al massimo gli si dedicherà un torneo, un evento, una strada, un discorso, un oceano di post sui social. Ma ossessivamente la domanda rimane inevasa: perché è morto?

Andrea non è l’unica vittima. Altre, in altri luoghi, sempre per lo stesso motivo. La terra brucia.

L’uomo violenta con il fuoco i boschi, le pianure, fino ai confini delle città. Il fuoco divampa tra le case, s’insinua in quella campagna che accarezza le case, massacra le bestie, la vita che abita la natura. Il fuoco -sacro agli dei – diventa lo strumento di morte nelle mani di “ominicchi” infami. Le agenzie di stampa di tutto il mondo battono la stessa notizia ormai da giorni: la terra brucia e le cause sono sicuramente di origine dolosa. L’uomo, proprio lui, quello che dovrebbe coltivare e custodire la terra.

Ogni comunità conta i suoi danni, le sue vittime e raccoglie lacrime.

Ogni comunità si sente scossa ma non basta perché bisogna uscire dall’equivoco che le cause sono da ricercare nel destino, nel fato. Non è più possibile far finta di niente e piangersi addosso. Perché gli uomini incendiano? Cosa si può fare per evitarlo? Chi dovrebbe porre rimedio?
Non affrettatevi, sono già tutti pronti a puntare il dito verso la direzione opposta alla propria. Lui, loro, gli altri, non io, mai io. Al massimo io condanno, mi dissocio, mi rammarico, mi dispiace, mi turbo, ma io sono innocente. Andrea Distefano e tutte le altre vittime (compreso i cavalli, le pecore, le api, gli alberi, ecc.) ringraziano, ma rimane la domanda: perché?

Allora proviamo a elencare le tante ipotesi, così da non escludere nulla.

Per evitare di dire le solite frasi di circostanza. Per tentare una risposta onesta che dovrebbe scatenare indignazione e reazione. Si spera.
Escludiamo l’autocombustione. Una bufala per i bambini. Se vogliamo capirci qualcosa dobbiamo partire da una semplice osservazione: cosa succede ai terreni dopo gli incendi?
Possono diventare edificabili, possono essere destinati al pascolo, si possono montare pannelli fotovoltaici, si possono cambiare le colture, qualcuno parla persino dell’opportunità di raccogliere le lumache dopo i temporali. Qualcuno parla di assicurazioni, della privatizzazione dei soccorsi, dei forestali assunti solo in caso di incendi. Che strana lista è questa!

C’è una legge, la 353/2000. Applicata? Certamente qualche strumento normativo c’è già, ma si vede che non basta, oppure qualcuno non lo applica diffusamente. Ma spostiamo l’attenzione da un’altra parte. Abbiamo individuato una strategia preventiva, di monitoraggio e d’intervento? Chi si dovrebbe occupare di tutto questo? Cioè, al netto dell’idiota che materialmente accende la miccia, cosa si potrebbe fare prima, durante e dopo? Una cosa è certa, il corpo dei Vigili del Fuoco e i suoi uomini eroici sono allo stremo: pochi uomini e pochi mezzi. Sembrano dei flipper che schizzano da un fuoco all’altro.
Esiste un piano di manutenzione dei terreni agricoli e delle aree boschive – puntuale, diffuso – per semplificare e facilitare l’intervento dei soccorsi come una specie di piano antincendio? Se esiste per gli edifici perché non deve esistere per i boschi e le valli? Una rete di strutture e infrastrutture di supporto: cisterne, rilevatori, telecamere ecc. in particolare nelle zone più sensibili e inaccessibili. A cosa servono le immagini satellitari se non per monitorare il principio di un incendio?
Qualcuno ora si sentirà chiamato in causa. Mi dispiace. Ma il Piano di Protezione Civile – che dovrebbe prevedere ogni tipo di presunto pericolo per la collettività alla scala locale, come i terremoti, le frane, le epidemie, l’inquinamento delle acque, gli straripamenti, gli incendi, ecc. – potrebbe essere così obbligatorio che in caso di inadempienza decade l’organo di governo che avrebbe dovuto elaborarlo? Che ne dice Presidente Musumeci?

Vediamo di riepilogare.

Le responsabilità sono di tanti. Di chi ha acceso il fuoco per i suoi sporchi interessi personali e abbiamo visto che sono tanti. Di chi potrebbe pensare a una strategia di difesa efficace e invece partecipa solo del dolore delle vittime. Di chi dovrebbe mettere a disposizione dei territori, le tecnologie più avanzate e invece privatizza la macchina dei soccorsi e non infrastruttura le campagne. Di chi dovrebbe stare vicino ai proprietari (contadini, allevatori, produttori, ecc.) con normative e azioni ad hoc per sostenere le attività agricole (agro-pastorali).

Poi per finire, per non farci mancare nulla, per cercare di capire se c’è persino una spiegazione antropologica, scivoliamo nella mitologia e nella teologia. Dopo il VI-VII secolo, la cristianità ha sentito l’esigenza di stanare le divinità pagane dai boschi e dagli alberi, dalle fonti e dalle grotte e ha cominciato a fare questo (conversione) attraverso il fuoco, estirpando, bruciando, sotterrando ogni espressione di natura simbolica e sacra (sembra che sia rimasto qualcuno a fare questo sporco lavoro). Una santa inquisizione ante-litteram. Poi è arrivato San Francesco e ha sistemato tutto, riconciliando il cristianesimo con la natura.

Ora, Andrea Di Stefano è morto, finite le passerelle, stemperata la rabbia sui social, non rimane che fare qualcosa. Qualcosa di concreto. Per difendere la terra e i contadini onesti. Per difendere le comunità di produttori che pagano il prezzo più alto. Perché il fuoco ha un brutto difetto: non si ferma solo dove servirebbe (per gli infami), invade tutto e distrugge le vite di tanti inconsapevoli. Gente che oggi vediamo nei telegiornali piangere disperati. Per quella gente c’è da fare qualcosa. Il fuoco è sacro ma se usato male è luciferino e demoniaco, come chi lo invoca e lo commissiona per vili interessi. Ma per favore ora non strumentalizzate Andrea Di Stefano. Lui vuole solo sapere: perché?

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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