Paternò, maledetta annacata: la fake dell’inchino della statua della santa patrona continua a umiliare la città

Paternò, maledetta annacata: la fake dell’inchino della statua della santa patrona continua a umiliare la città

Confondere una “candelora” con il fercolo della santa patrona, accostare (impropriamente) una famiglia mafiosa con la festa più sentita in paese, mandare in onda un video con i sottotitoli che sottolineano “l’inchino della statua di Santa Barbara all’abitazione del boss”, comincia a pesare troppo. E’ venuto il momento di mettere i puntini sulle i. La statua della santa non si è mai inchinata.

Una cosa è se il fercolo della santa patrona, con le autorità politiche, civiche e religiose della città di Paternò fosse passato davanti alla casa di un pregiudicato o comunque davanti all’abitazione di una famiglia in odor di mafia e per onorare tale famiglia avesse eseguito l’inchino, come gesto di sottomissione e devozione.
E un’altra cosa è se una candelora, lontano dai circuiti ufficiali, senza nessuna autorizzazione, autonomamente, si inchina, danzando mettendo in ridicolo un’intera città. Forse neppure la “famiglia” avrà gradito tutto questa tempesta mediatica, ma la frittata è servita.

Ora serve curvare meglio la notizia per evitare facili strumentalizzazioni.

L’immagine della città di Paternò, della Parrocchia di Santa Barbara e dei devoti della santa sono stati sottoposti a una gogna mediatica impressionante. Forse in buona fede, forse per eccesso di semplificazione giornalistica e investigativa, la notizia che passa ogni volta che si parla della famiglia mafiosa paternese è che tutto è avvenuto con la statua di Santa Barbara. Un accostamento forzato, incongruente, in pratica una fake.

Ci sono stati casi – per esempio in Calabria – di processioni di santi con le istituzioni al seguito, che hanno fatto l’inchino al mafioso di turno e questi (le istituzioni politiche e religiose) sono stati denunciati e sanzionati. Ma il caso Paternò non ha nulla a che fare con questi fatti.
Certamente, dopo questa esperienza, gli organizzatori hanno preteso il controllo dei percorsi delle candelore (devoti organizzati) e messo in campo tutti quei dispositivi per dissuadere eventuali emulazioni.

La comunità religiosa ha subito spesso in silenzio questo accostamento improprio e adesso la misura è colma.

Non è possibile che ogni volta che si parla di mafia a Paternò si cita Santa Barbara. Come se per parlare della mafia catanese dobbiamo accostarla a Sant’Agata. Forse sul piano giornalistico colpisce e rimane l’impressione che a pagare sia un’intera comunità, fatta di persone per bene, lavoratori, volontari, devoti e gente semplice.

L’errata interpretazione dell’inchino, il confondere la candelora con il fercolo, danneggia l’immagine della città.

Ne restituisce una visione aberrata, storpiata, offensiva della dignità di tutti. Proprio l’accostamento tra mafia e santa patrona è il corto circuito che ormai da anni sporca la storia secolare di una comunità che forse ha subito troppo in termini di marketing turistico e culturale.
Forse è venuto il momento di smetterla con il “nascondimento” e la “dimenticanza” che non fanno bene a nessuno. Se poi pensiamo che questa comunità ha regalato una delle prime sante della cristianità, quella Julia Florentina – nata a Hybla e poi seppellita nel cimitero dei santi di Catania – che ha permesso di individuare le tombe di Euplio e Agata a Catania, (la stele è attualmente esposta al Louvre di Parigi) viene da chiedersi le ragioni di tutto questo accanimento mediatico.
Diamo a Cesare quello è che di Cesare e a Dio quello che è di Dio, il resto lasciamolo in santa pace.
Quella maledetta “annacata” (non sarà mai più) continua a provocare dolore, continua a umiliare, continua a essere “usata” per sporcare.

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