Elena è andata a morire in Svizzera: “E’ la strada più breve anziché l’inferno”. Oggi Cappato si autodenuncia

Elena è andata a morire in Svizzera: “E’ la strada più breve anziché l’inferno”. Oggi Cappato si autodenuncia

«È morta nel modo che ha scelto, nel Paese che glielo ha permesso».

Con queste parole, affidate ai social, Marco Cappato ha annunciato la scomparsa di Elena, la signora veneta di 69 anni, malata oncologica terminale da lui accompagnata in Svizzera per aver accesso al suicidio assistito. Un viaggio annunciato il giorno prima, quando ancora Elena era `Adelina´, nome di fantasia scelto dalla donna per proteggere la sua privacy e quella della sua famiglia che non ha potuto accompagnarla nel suo ultimo viaggio.

Con lei Cappato, che ha annunciato: «Mi autodenuncerò a Milano per l’aiuto che ho fornito alla signora Elena, che ha scelto di interrompere le proprie sofferenze. In Svizzera è legale. In Italia rischio 12 anni di carcere», precisa l’attivista in un video registrato al confine tra i due Stati.

Il caso di Elena arriverà così nelle aule di tribunale dove la magistratura che dovrà decidere se Cappato ha aiutato la donna a morire o se Elena, pur non avendo il requisito del sostegno vitale, condizione essenziale per rientrare nella sentenza Dj Fabo/Cappato, aveva il diritto di accedere al suicidio assistito.

«A un certo punto della mia vita ho dovuto scegliere: se, trovandomi davanti a un bivio, volevo percorrere una strada più lunga ma che portava all’inferno o se invece volevo scegliere una strada più breve che mi avrebbe portato qui, a Basilea. Io ho scelto per questa seconda opzione», ha confermato Elena nel suo ultimo video messaggio in cui ribadisce non solo la sua volontà ma il dolore per essere da sola in Svizzera.
«Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile e, quindi, ho dovuto venire qui da sola», ha rimarcato Elena.

Un dolore ribadito anche da Filomena Gallo, avvocato dell’Associazione Luca Coscioni. «È una doppia atrocità: sapere di dover morire in un modo dolorosissimo e privarsi dei propri affetti», ha sottolineato la legale a LaPresse. Il 16 giugno, per la prima volta in Italia, Federico Carboni, ha potuto accedere al suicidio assistito. Io ero lì, in quella stanza. Le sue ultime parole sono state `Sono libero, basta sofferenze: voglio sorrisi e non lacrime´. La serenità che ho visto sul volto di Federico, che aveva la sua famiglia vicina, è stata vietata alla signora Elena”.

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