“Sì, sono Matteo Messina Denaro”: così è stato catturato il boss superlatitante. Determinanti le tracce legate al tumore del capomafia

“Sì, sono Matteo Messina Denaro”: così è stato catturato il boss superlatitante. Determinanti le tracce legate al tumore del capomafia

Sì, sono Matteo Messina Denaro».

Cinque parole che sanciscono la fine della mafia corleonese, della stagione delle stragi del 1992 e 1993, della cosa nostra militare. Trent’anni e un giorno dopo l’arresto di Totò Riina, il capo dei capi, i carabinieri del Ros, dei Gis e dei reparti territoriali di Palermo e Trapani hanno catturato il suo delfino, il giovane boss preferito fra tanti da Riina. I magistrati della direzione distrettuale antimafia di Palermo, guidati dal procuratore aggiunto Paolo Guido, finalmente possono togliersi quello che lo stesso procuratore Maurizio de Lucia ha chiamato «l’ultimo debito che avevamo con lo Stato e i cittadini».

L’hanno catturato mentre stava per sottoporsi a una seduta di chemioterapia nel reparto di Oncologia della clinica La Maddalena di Palermo, nel quartiere San Lorenzo. Si era appena accreditato all’accettazione con il nome falso di Andrea Bonafede, si era sottoposto a tampone per il Covid e stava per sottoporsi agli esami ematici propedeutici alla somministrazione dei farmaci chemioterapici. Nel reparto però non ci è mai arrivato. Un colonnello dei Gis, la punta di diamante dei reparti speciali dell’Arma, lo ha bloccato in un vialetto laterale davanti all’accettazione. Non ha opposto resistenza e senza manette è stato fatto salire su un furgone nero. Prima di essere rinchiuso in un istituto di pena siciliano è passato per la caserma della compagnia di San Lorenzo. «Messina Denaro è compatibile con il regime carcerario e abbiamo chiesto per lui il regime speciale del 41 bis», ha sottolineato il procuratore capo de Lucia. Nelle prossime ore la `Primula rossa´ verrà trasferita in una struttura di massima sicurezza in grado di garantirgli il prosieguo delle cure oncologiche. «La terapia che doveva fare oggi, verrà recuperata nei prossimi giorni», ha assicurato il procuratore aggiunto Paolo Guido che ha coordinato la cattura dell’ultimo dei corleonesi.

Matteo Messina Denaro da un anno era in cura nella clinica di Palermo per cercare di sconfiggere il cancro.

La malattia si era presentata alcuni anni fa al colon, tanto che si era sottoposto a un primo intervento chirurgico due anni fa per ridurre il tumore al tratto dell’intestino. Ma il male non era stato sconfitto e l’anno scorso i medici della Maddalena gli avevano diagnosticato alcune metastasi al fegato. Gli stessi medici della casa di cura lo operarono per rimuoverle e ora Messina Denaro stava sottoponendosi ai cicli di chemioterapia previsti dai protocolli.

Il cancro dunque, una malattia umana, è stata determinante nella sua cattura.

Le cure per provare a restare in vita lo hanno esposto, ne hanno minato l’ermetica protezione, l’hanno costretto a cedere sulla maniacale rete di protezione.
Con lui è stato arrestato per favoreggiamento Giovanni Luppino incensurato di Campobello di Mazara (gestiva un centro per la raccolta delle olive a Nocellara del Belice), che faceva da autista al boss. Le indagini sulla cattura hanno avuto un’accelerata decisiva a fine anno quando nelle intercettazioni di familiari e possibili fiancheggiatori è stato fatto il nome di Andrea Bonafede legato a questioni mediche. Il lavoro certosino con il database del sistema sanitario nazionale hanno definitivamente chiuso il cerchio. Per oggi era prenotata la chemioterapia per un uomo siciliano di 60 anni. «E lo stesso uomo tre giorni fa si era sottoposto a una visita oculistica all’occhio sinistro. A quel punto – svela l’aggiunto Guido – abbiamo capito che poteva essere lui».

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