Misteri. La permanenza dei segni

Misteri. La permanenza dei segni

Sono tracce invisibili, fili sottili che uniscono le storie degli uomini.

Affondano le loro radici in una parte nascosta del nostro inconscio, lontani nel tempo, fino a perdersi nell’infinito passato. Segni, rituali, liturgie, che ridondano da un continente all’altro, lungo la linea del tempo, assumendo forme diverse e cangianti ma pur sempre coerenti.

Ogni cultura li ha declinati, modellati, adattati, per rappresentare lo stesso principio, con oscillazioni sul tema che individuano il carattere e la tensione filosofica che domina – in quel tempo e in quello spazio – un preciso popolo. Una croce, un cerchio, un punto. Sono i segni che ci raccontano del sole, della luce, di Cristo. L’uomo cerca di imitare la natura, di farla sua, di capirla e di narrarla. L’uomo non è solo, unico essere nell’universo, percepisce la presenza di un logos e di un caos, percepisce la presenza di Dio ma non comprende pienamente il suo mistero e desidera descriverlo con i segni, come fili sottili che lo tengono perennemente legato all’idea del sacro. Solo all’idea, perché solo i segni hanno il potere di sfiorare la sacralità dell’universo.

Misteri. La permanenza dei segniNella “Platea Magna”, dove confluiscono i sentieri urbani che hanno disegnato la città di Catania, dove tutto è terra e acqua, in quel luogo che è dominato da una verticalità barocca che culmina con un obelisco egiziano sorretto da un piccolo elefante nero. In quello spazio che ha accolto la storia di un popolo, che rappresenta una centralità, una polarità, che accoglie il potere civico e religioso, che è teatro della liturgia della festa di Agata, in questo spazio, durante la festa della Santa, appaiono come all’improvviso le “Ntuppatedde”.

Sono figure eteree, misteriose, descritte già da Giovanni Verga, nella sua novella “La coda del diavolo” che fa parte della raccolta da “Primavera e altri racconti” del 1877. “Il termine ‘Ntuppatedde deriva dal siciliano “tuppa”, che designa la membrana che protegge il corpo delle lumache e dunque rimanda a qualcosa che si nasconde. Con questa interpretazione è nata la tradizione delle ‘Ntuppatedde a Catania che fa riferimento alle donne che si travestivano e nascondevano il viso per non svelare la propria identità durante i giorni della festa di Sant’Agata.” Come ci racconta Sabrina Portale con le bellissime foto di Salvo Puccio in un articolo pubblicato qualche anno fa.

Una tradizione antica, almeno dal 1600 (forse) e come afferma Elena Rosa – l’artista che ha recuperato questa liturgia simbolica religiosa e festosa –
“Le ragioni che ci spingono a fare quello che facciamo non sono facilmente spiegabili, – dice Elena Rosa – non siamo la ripresa di una tradizione, ma un rito che si ripete ogni anno ispirandosi ad una tradizione perduta. Quello che ci interessa è il movimento e il cambiamento sul piano simbolico, poetico e relazionale. Siamo state una sorpresa, adesso siamo un’attesa”.

“Non sono facilmente spiegabili”, è questo il senso del mistero e della ridondanza dei segni. Come se ci volesse fare intuire che le radici di questa danza urbana sono da cercare altrove. Alcune considerazioni vanno fatte. Si tratta di un rito “mascherato” tipico del tempo liturgico, che va dalla festa dei morti fino a Pasqua. Dentro questo tempo tutto è maschera, travestimento, illusione. Come quel seme che sottoterra si nasconde per poi emergere dalla terra in primavera. (Ignazio Buttitta). Ma è anche un rito femminile, misterico, velato, come i riti Eleusini, quelle afferenti a Demetra. Compiuto dalle sacerdotesse in segreto, tra donne, come per emanciparsi, per difendersi per contrastare una società ancora legata alla cultura omerica e micenea che relegava la donna nel gineceo. Ma Demetra è la dea che rappresenta il grano, la famiglia, la cultura dominante dei tiranni di Siracusa. C’è tanto altro, dietro i segni, intorno alle tradizioni.

Recentemente nella città di Hybla Major, quella che ora si chiama Paternò, legata intimamente a Catania da secoli di storia e tradizioni, Giacomo Cavallier, egittologo e docente al Cairo, nella chiesa della Madonna dell’Itria (quartiere Santa Barbara-Falconieri) ha illustrato il culto di Iside e le sue aderenze sincretiche con Demetra, Agata e la Vergine Maria. Un viaggio straordinario che ha dimostrato la continuità iconografica tra i culti egiziani, la tradizione Tolemaica e le implicazioni di tale tradizione nella cultura greco-romana e successivamente cristiana. Dall’uso degli amuleti, all’iconografia della madre terra, che allatta il suo figlio santo. Iside e Demetra (la madre terra) che si declinano per sincretismo con Maria, Agata, Barbara.

Allora viene da chiedersi, le Ntuppatedde sono solo una danza? Sono solo da ricondurre a una tradizione barocca? Non è forse vero che il velo le lega ai culti Eleusini? Il vestito bianco e nero (della tradizione) non è forse il bianco delle donne sacre? Non è forse vero che la madonna veste di nero durante la processione del Venerdì Santo? Ei fiori rossi, non sono forse riconducibili ai papaveri di Demetra e se estendiamo il concetto, come ci dici Giacomo Cavallier, non sono forse il segno di quel sangue mestruale, usato da Iside per guarire?

Allora viene da chiedersi, se la chiesa madre di Hybla è il probabile tempio di Demetra (quello edificato da Gelone nel 480 a.C.), oggi chiesa di Santa Maria dell’Alto che contiene una madonna nera (Iside) ; e se questo per forma e orientamento è identico al duomo di Catania, dedicato ad Agata (Iside) si possono formulare due ipotesi che meriterebbero un approfondimento: la prima che il duomo di Catania potrebbe essere un’area prima dedicata a Demetra, la seconda è ancora più fascinosa e cioè che le Ntuppatedde potrebbero essere le discendenti delle sacerdotesse di Demetra e Iside che ritornano dopo secoli di nascondimento a danzare dentro un “temenos” che non ha mai perso la sua identità e la sua trasversalità iconografica.

Troppe domande, troppi misteri. M rimane una certezza. I segni si perpetuano nel tempo, si adattano, ma continuano ad esistere. Per conoscenza, per intuito, per induzione culturale. Forse per caso, per tradizione. Quando si esprime questo concetto si rimane basiti, dubbiosi, scettici ma è giusto così. Forse deve restare tutto celato e misterioso, come l’identità delle sacerdotesse di Demetra, come quelle donne che oggi, hanno deciso di esprimere con dignità e bellezza la loro presenza. Le Ntuppatedde ci ricordano il nostro passato e segnano il sentiero per il futuro. Tradizione? Folclore? Liturgia? Non importa. Tra qualche mese, sull’acropoli di Hybla, il Venerdì Santo, la Madonna vestita di nero, con una fiaccola lucente e un “sistro” (strumento musicale) scenderà per cercare suo figlio morto e poi risorto. Come l’antica Demtra con Persefone, come Iside con Orus, e le sue sacerdotesse, vestire di nero al suo fianco. L’uomo rappresenta da secoli lo stesso sentimento in mille modi per confermare il suo “abbandono” al sacro. Noi, usiamo i segni, il mistero per narrare e questi segni circondano la nostra vita anche inconsapevolmente. C’è molto da indagare, molto da approfondire ma alcune corrispondenze sono evidenti e illuminanti. Trasmettiamo i codici di questa narrazione in ogni tempo e spesso utilizzando pochi iniziati.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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