Il Museo come incubatore di umanità e socialità: le anomalie della città di Paternò

Il Museo come incubatore di umanità e socialità: le anomalie della città di Paternò

Il 24 agosto 2022 nell’ambito dell’Assemblea Generale Straordinaria di ICOM a Praga, è stata approvata la nuova definizione di museo, frutto di un lungo processo partecipativo che ha coinvolto 126 Comitati nel mondo.

Il Museo come incubatore di umanità e socialità: le anomalie della città di Paternò

La traduzione italiana è quella che qui proponiamo: “Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità.
Operano e comunicano in modo etico e professionale e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze. “

Al Monastero dei Benedettini a Catania – il 22 il 23 febbraio – si è svolto un convegno internazionale con lo scopo di approfondire le tematiche afferenti al museo, raccogliendo le esperienze di tutto il mondo, sulla sua possibile metamorfosi statutaria, verso un maggiore ruolo sociale, per andare oltre quella visione statica – ormai obsoleta – di semplice raccoglitore di cose antiche. L’evento era organizzato da diverse istituzioni come MINON- ICOM, l’Università di Catania, la Fondazione Federico II e l’UNESCO.

Antropologi, museologi, sociologi, architetti, artisti e ricercatori si sono confrontati, avviando diversi tavoli di discussione, portando alla luce esperienze, criticità e prospettive possibili. Un’occasione per capire, per perimetrare un ambito strategico della vita di una comunità, utile per la conservazione o la riattivazione dell’identità.

Il museo è quindi uno spazio aperto, permeabile, attraversabile, delocalizzato. Come per il paesaggio – sembra quasi seguirne il destino concettuale – si apre ad ambiti più significativi, rompendo gli schemi ottocenteschi. Una nuova entità che si evolve e si implementa attraverso un processo partecipativo. Ma attenzione. Il senso di questa affermazione non ha nulla a che vedere con certe prassi localistiche che hanno snaturato il senso della parola “partecipazione”.

Il Museo come incubatore di umanità e socialità: le anomalie della città di PaternòIn questo senso, partecipazione, ha il significato che tutti contribuiscono alla definizione del programma culturale di un museo (inteso in senso moderno) e non la maggioranza. Tale precisazione è utile per evitare facili fraintendimenti. La storia di una comunità è la stratificazione metabolica di tutte le sue anime e di tutte le sue storie. Certamente non è quella di una maggioranza “provvisoria” che esercita solo un potere temporaneo che potrebbe stravolgere l’identità di un territorio, modellandola a proprio piacimento. Giovanna Vitelli, della University of Glasgow, mette in evidenza che “il museo raccoglie le memorie di un territorio, di una comunità, riconnettendo “gli abitanti” alle collezioni, per ricostruire l’identità”, spesso “colonizzata”. In questo senso i processi partecipativi non si possono inventare o curvare a piacimento ma devono essere progettati tenendo conto delle dimenticanze strutturali.

Il museo – non come edifico ma come istituzione – deve risolvere le fratture, i silenzi, le omissioni culturali, attraverso un lavoro di ricerca e di confronto, accogliendo i ripensamenti, attraverso un processo di decolonizzazione culturale. Che poi è il compito più complicato, quello di disapprendere per poi riapprendere. Al di là dei termini, oggi molto di moda, come eco museo o museo diffuso; c’è quindi da ripensare all’idea stessa di museo: che perde le mura, il suo perimetro convenzionale e diventa rete di luoghi e storie, di percorsi ed esperienze e proprio per questo deve essere inclusivo e accessibile a tutti.
Se il suo compito principale è di “ricercare, collezionare, conservare, interpretare ed esporre il patrimonio culturale, materiale e immateriale” in alcune realtà civiche sembra quasi di parlare di fantascienza. Come per esempio l’impossibilita, nelle pratiche localistiche, di condividere le diverse anime locali a tutto vantaggio di “specie” dominanti e organizzate.

Il Museo come incubatore di umanità e socialità: le anomalie della città di PaternòPer ripensare all’idea di museo, necessario per costruire condivisione, bisogna ridisegnare la storia di un preciso territorio, anche in relazione alla dimensione antropologica, geografica, più in generale pluridisciplinare. Ripensare e ricomporre i pezzi di un puzzle scomposto che il tempo ha disseminato dietro la siepe.

Una riflessione contestuale, alla micro-scala, andrebbe fatta. La città di Paternò – per esempio – ha perso la sua Galleria di Arte Moderna, cancellata ideologicamente negli anni ‘90.
Il suo pseudo museo archeologico (espone testimonianze preistoriche e medievali) non accoglie le fasi storiche greco-romane, discriminando parti significative di memoria. E quell’acropoli che ancora aspetta da anni gli scavi archeologici, che le restituirebbe l’identità perduta.
Il museo della civiltà contadina ormai è l’ombra di sé stesso, privato di ogni dignità museale.
Il museo di arte sacra è l’eterna promessa, incastrato in logiche misteriose.
La cultura del Cantastorie colonizzata e brandizzata per cucire un abito su misura, escludendo pertanto alcuni protagonisti storici.
Il museo della ceramica una chimera di Barbaro Messina, qualcuno ha scambiato una visione culturale in un programma personale, come spesso accade in una città che meriterebbe di più.
Il cimitero monumentale e l’atlante di personaggi che hanno illuminato questa città – con l’arte, la letteratura, l’architettura, la musica e la scienza – mai presente nelle agende delle politiche culturali.
Ma che dire della dimensione naturalistica di questo territorio, della rete di vulcanetti, delle colate laviche storiche, delle sorgenti, delle vie e delle piazze, senza dimenticare gli antichi condotti idrici; anche queste sono parte di una narrazione che si perde sotto i colpi della superficialità e dell’approssimazione.

Lo si ripete da tanto, fino allo sfinimento, oltre ogni immaginazione. Fino a diventare antipatici e ripetitivi ma serve “gocciolare” sulla pietra per sperare. Ruscellare e gocciolare, per riavviare una rinascenza necessaria, per non dover dire ai propri figli: andate vie, qui c’è posto solo per la dimenticanza.

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Riguardo l'autore Francesco Finocchiaro

Architetto vitruviano. Credente convinto e appassionato delle religioni. Vive il suo lavoro come una grande passione . Esplora gli innumerevoli paesaggi dell’arte: dalla poesia al giornalismo, dall’architettura alla grafica, dalla comunicazione alle strategie urbane. Docente di storia dell’arte e filosofo dell’abitare. Convinto sostenitore del futurismo e che l’innovazione ha le sue radici nella memoria. Vorace lettore di Papa Francesco, di Pablo Neruda, Lucía Etxebarria e Omero. Vive l’architettura come un Pitagorico, in forma mistica e monastica come il suo architetto preferito, Peter Zumthor.

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